Il ragazzo entra in cattedrale, con abiti semplici, calmo e pensieroso. Al cospetto della statua si inginocchia, alza lo sguardo e i suoi occhi rimangono fermi sulla figura rassicurante per qualche minuto, a guardarlo sembra che a tratti smetta di respirare. Ad un tratto si ricorda di esistere, si alza e si schiarisce la gola.
Somma Elerya, della mia vita luce
Le mie gambe stanche nel cammino cedono
I miei occhi confusi non vedono
Dove questo labirinto buio conduce
Ogni via possibile è chiusa da un muro
Ad ognuno di essi un corpo è poggiato
Spoglia e resti di chi qui ha vagato
E la speranza ha perso e con essa il futuro
Ma a te io mi affido, oh madre splendente
E a te la mia vita, e a te la mia spada
Come umile servo fedele e attendente
Affinche il labirinto diventi strada
E la tua luce mi rischiari la mente
E mi accompagni ovunque vada
Poi guarda per terra, malinconico e dice a bassa voce
Oh musa dai capelli neri e la pelle chiara
Le mie gambe cedono in questa strada amara
I miei occhi gonfiano, rossi e bianchi
Al ricordo di te, e di quanto mi manchi
Si inginocchia in preghiera davanti alla statua e così rimane per tutta la notte. Il pianto sommesso spezza il silenzio ed echeggia, di tanto in tanto, tra le navate della cattedrale