Grazie a Superiannellus, a cui qualche tempo fa avevo accennato qualcosa di questa spedizione, preso com'ero ancora dall'incertezza per la sua riuscita, e a christianR77, che come me si è accorto di quanto faccia piacere e possa aiutare un parola di incitamento sincera nel momento della massima fatica. Vado avanti!
QUINTA TAPPA – Prato allo Stelvio-Passo dello Stelvio-Prato allo Stelvio. 50 km, dislivello 1.800 mt. Finalmente un’alba splendida va ad illuminare le magnifiche montagne che fanno da corona al nostro risveglio, proprio in coincidenza con l’attacco al Passo per eccellenza, quello che ogni ciclista vorrebbe scalare almeno una volta nella sua vita. Io avrò la fortuna di farlo in una giornata eccezionale. Alle 7.55 parto dunque da solo. Precederò Alberto e Salvo di mezz’ora, per ricongiungerci tutti in cima più tardi. Il fondovalle è ancora all’ombra e freddissimo, e nella solitudine più assoluta percorro la strada già in discreta salita, accompagnato solo dal rumore delle acque del Rio Solda, che scorrono tumultuose alla mia destra. Poi il sole inizia ad illuminare anche me, mentre transito da Gomagoi, e dal bivio per la Val Solda. Giungo al tornante numero 48, e so benissimo che di strada ce n’è ancora tanta. Ma oggi me la voglio proprio godere. Di fronte adesso iniziano a fare capolino, contro il blu intenso del cielo, le abbaglianti nevi e le seraccate dell’Ortles e del Thurwieser. Passo dentro Trafoi. Silenzio. Il rapporto è il 34x26 (lo stesso del giorno prima, anche se ho scritto erroneamente), che mi permette di andare su con battiti sufficientemente contenuti. Entro nel bosco, affronto la prima lunga serie di tornanti ravvicinati, quando all’improvviso sento un fruscio proveniente dal bosco sopra di me. Quand’ecco un capriolo attraversa la strada non più di 10 metri davanti a me, si infila letteralmente sotto il guard rail, e scompare nel folto del bosco più in basso, lasciandomi il tempo di rimanere a bocca aperta, nonostante mi trovi in un tratto al 10 %. E’ passata più di un’ora, e non ho ancora incontrato anima viva, tranne una mamma con la figlia piccola che mi hanno benedetto con lo sguardo qualche chilometro prima, e due o tre camioncini per le consegne. All’uscita del bosco, alla mia sinistra il commovente panorama dell’Ortles e della vallata sottostante mi rapisce, e quasi non sento più la fatica della salita, ma solo i battiti del mio cuore, mentre sento che gli occhi mi si inumidiscono leggermente. L’incanto verrà presto rotto da un rombo che risale dal basso, e che si avvicina progressivamente. I motociclisti si sono svegliati, e stanno arrivando. A nugoli mi raggiungeranno presto, seguiti da altri, da altri, da altri ancora, come se uscissero direttamente dalle viscere della montagna. Il silenzio è spezzato, ma non permetto che l’armonia dentro di me venga guastata. Altro tornante, ed ecco pararsi sopra di me l’infinita serie di tornanti che tanto aspettavo. Sono gli ultimi 6 km che portano al passo, di cui vedo già gli edifici. Ormai ho capito il trucco. Nei tornanti mi allargo al massimo, per poter sfruttare così quei pochi metri in cui la strada letteralmente spiana. Non sempre questa manovra, ovviamente scorretta e da fare solo con strada assolutamente libera in entrambi i sensi, mi è possibile. Tuttavia con qualche accorgimento riesco a compierla spesso. Verso l’Hotel Franzenshohe raggiungo una coppia di cicloturisti piuttosto avanti con gli anni, vestiti in maniera assolutamente normale (pantaloni con cintura e cappellini da pescatore) che vanno su mulinando tranquillamente le gambe. Gli rivolgo una battuta in inglese, ma la signora, posta davanti a fare l’andatura, mi chiede se sono italiano. Rispondo di sì, e che vengo dalla Sicilia. Lei allora mi dice nella nostra lingua che sono tedeschi, di Monaco, e che intendono scendere poi dall’Umbrail. 30 anni fa hanno fatto il giro della Sicilia e della Sardegna. Tanto di cappello. Gli do l’appuntamento in cima, e poi proseguo del mio passo. Dopo qualche secondo vedo cadere davanti a me alcune piccole pietre. Alzo la testa, e alla mia sinistra due marmotte mi osservano immobili, dopodiché emettono una specie di fischio, e scappano dentro una buca. Supero quota 2.500, ma non avverto problemi particolari legati all’altitudine, anche se l’andatura è fissa sugli 8/9 all’ora ormai da un pezzo. Ancora uno sforzo, ancora pochi tornanti, guardo giù, e vedo la sottile linea di asfalto che mi sono lasciato alle spalle, sembrandomi già incredibile come sia riuscito a coprire tale dislivello. Nel cielo molteplici scie di aerei disegnano complicati arabeschi, mentre ormai sono all’ultimo chilometro. Credo che un sorriso si dipinga sul mio volto, mentre giungo in vetta al passo, tra due ali di motociclette, e lo sguardo un po’ incredulo di qualcuno. Ce l’ho fatta anche oggi! Il vento è molto fastidioso, anche se la temperatura non è freddissima. Mi sistemo nel punto panoramico da cui si vede tutta l’ultima parte della salita, e inizio a vestirmi. Giù, in mezzo a uno sciame di motociclette, vedo un puntino verde salire. Riconosco Alberto. Appena giunge a portata di voce, due tornanti più in basso, gli lancio un urlo con tutta la forza che ho. Lui alza la testa, e solleva il braccio in segno di vittoria. Lo Stelvio lo aveva già scalato qualche anno fa, e oggi ha stabilito il suo record personale: 2 ore e 1 minuto. Io ho impiegato 2 ore e 18 minuti. Mi raggiunge, ci abbracciamo felici, e sporgiamo le teste per vedere dov’è Salvo. Alberto mi dice che ha avuto subito problemi con la ruota, quindi è un po’ attardato. Lo vediamo sbucare nel tornante sotto di noi, gli urliamo, e anche lui ci risponde. Ha dovuto scalare lo Stelvio senza praticamente potersi alzare sui pedali, a causa della ruota posteriore che andava a strisciare contro il telaio. Ma è felice anche lui. Cerchiamo il cartello del passo per le foto. Una signora esce da un negozio di souvenir, e ci dice che il cartello originale se l’è portato via il vento. Dopodiché entra nel negozio, e spunta fuori con un cartello fatto realizzare da lei. Gentilmente ci fotografa, mentre la nostra Cima Coppi attira altri ciclisti che nel frattempo sono saliti dal versante di Bormio. Nella confusione ormai totale che regna in questa cittadella a 2.758 metri di quota, giriamo le nostre bici e scendiamo verso Prato, visto che nelle condizioni in cui si trova Salvo, non sarebbe prudente affrontare lo sterrato dell’Umbrail verso Santa Maria. Giunti in paese, la verità salta fuori. Il telaio è rotto, proprio dietro il movimento centrale. Salvo stenta a credere ai suoi occhi.
Mentre cerchiamo una soluzione per il giorno seguente, ci incamminiamo col camper per raggiungere Bormio, salendo nuovamente lungo lo Stelvio, confortati anche dal fatto che in mattinata ne abbiamo visti salire un paio. Ma dopo pochi tornanti Alberto, alla guida, si rende conto che è meglio fare dietrofront. Troppo infatti il traffico di moto e macchine, che costituiscono ad ogni svolta un ostacolo ed un pericolo. Decidiamo dunque di fare un giro molto più lungo, ma che si rivelerà estremamente spettacolare. Riscendiamo a Prato, svoltiamo per Glorenza, quindi ci inoltriamo nella magnifica Munstertal, tra montagne di imponente bellezza. L’ultimo paese italiano sul nostro cammino è Tubre, passato il quale incontriamo la dogana, e quindi il territorio elvetico. Per la seconda volta in pochi giorni mi trovo su un suolo che non è italiano. Risaliamo lo splendido Ofenpass, e lungo la discesa entriamo nel Nationalpark svizzero, immersi in un paesaggio da favola. Nemmeno il tempo di rendersi conto dello spettacolo che ci circonda, che svoltiamo a sinistra per entrare nel tunnel di Livigno, che ci riporterà in Italia. Sono 4 chilometri quasi completamente dritti, da percorrere in senso unico alternato. All’uscita rimango a bocca aperta. Il Lago del Gallo mi proietta direttamente in una fiaba nordica. Sembra uno di quei fiordi norvegesi che tante volte ho visto in televisione. Proseguiamo lungo le sue rive per diversi chilometri, per ritrovarci quasi subito nella conca di Livigno, paese completamente circondato da montagne e nell’isolamento più totale. Sullo sfondo vediamo la maestosa mole innevata del Bernina. Affrontiamo le facili rampe del passo Eira, dall’asfalto molto più “italiano” rispetto al biliardo dell’Ofenpass, e quindi scavalchiamo il Foscagno, in mezzo a montagne sempre più spoglie di boschi. Qui c’è solo roccia ed acqua. Scendiamo su Bormio, e quindi giungiamo finalmente al camping, in località Cepina. Salvo si è messo il cuore in pace per l’indomani, ma l’ultima parola non è ancora detta.