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L'UNITA'
10 marzo 2007
L´uomo del crollo
Maria Novella Oppo

La sostituzione del cardinal Camillo Ruini alla presidenza della Cei non poteva trovare impreparato Giuliano Ferrara, che infatti ha subito allestito una puntata di Otto e mezzo sul cattolicesimo italiano. Puntata non solo necessaria, ma molto interessante anche per noi non credenti che, come Croce, non possiamo non dirci cristiani. Se non altro perché la società ha segnato ogni tappa della nostra vita di riti, feste, divieti e scomuniche. Asilo, scuola elementare e media, organizzazioni culturali e politiche, tutto ci ha messi di fronte all´obbligo di definirci nei confronti della Chiesa. Ma, mentre ascoltavamo, tra gli altri, il professor Severino e il ministro Bindi, non pensavamo tanto a noi stessi, quanto al fatto che Giuliano Ferrara, nella sua vita, ha dovuto affrontare il crollo di tutto quello in cui ha creduto. Lasciando stare il comunismo, che per lui è storia antica, ora deve soffrire la decadenza di Berlusconi, dei neocon, di Bush, di Blair e anche di Ruini. E se credesse in Dio, crollerebbe pure quello.
Maria Novella Oppo
Pubblicato il: 10.03.07
Modificato il: 10.03.07 alle ore 8.32




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IL FOGLIO
10 marzo 2007
Fuori l’Italia dalla Nato
Nel senso che l’alleanza atlantica dovrebbe punire le nostre furbizie

Il paradosso scherma la logica e la
sovverte, ma aiuta talvolta a pensare.
“Fuori l’Italia dalla Nato” è uno slogan
storico della sinistra italiana, abbandonato
per tempo dal Pci, quando Enrico
Berlinguer si disse più al sicuro di
qua che nell’orbita dell’Unione Sovietica,
e tenuto vivo dalla sua limacciosa
coorte di eredi gruppuscolari, fino ai
fasti di Vicenza. A diciotto anni dalla
caduta del muro di Berlino, bisognerebbe
dare una lettura diversa della
parola d’ordine di un tempo: forse è
venuto il tempo, per l’alleanza
atlantica, di porre al
paese governato da Prodi
e D’Alema, in modo
serio e stringente,
e magari irrituale,
una domanda
semplice: dentro
o fuori?
Pubblichiamo
qui sotto, con gesto
sovranamente patriottico,
un fondo del Wall Street Journal
che spiega ai bellimbusti di Palazzo
Chigi e della Farnesina come ci si
comporta nelle relazioni internazionali,
soprattutto in tempi di guerra al terrorismo,
nel caso si desideri essere
presi sul serio. Questo è un paese che
paga lauti riscatti al nemico (anche
quando governa Berlusconi), si comporta
da clandestino frettoloso in zona
d’occupazione militare e di guerriglia,
e poi fa la lezioncina alla giustizia
americana, dopo avere condiviso il risultato
nullo di un’inchiesta bilaterale
sui fatti (caso Calipari-Sgrena). E la nostra
giustizia, con un segreto di stato
gestito come il segreto di Pulcinella,
dà la caccia agli esecutori americani e
italiani di un’operazione antiterrorismo,
dopo avere smantellato il servizio
segreto che ha cooperato in quell’operazione
(caso Abu Omar). Sono cose
che abbiamo sempre scritto in questo
giornale, ci fa piacere che qualcuno le
ripeta in inglese.
Ma questo è anche il paese in cui il
governo D’Alema del 1999, quando si
reggeva sui voti di Francesco Cossiga,
si mise le stellette in Kosovo, e sia pure
con formule ridicole (“la difesa aerea
attiva” come sinonimo eufemistico
di “bombardamenti”)
ha partecipato alla
guerra umanitaria,
senza l’Onu e senza
complessi (tutti ricordiamo
D’Alema a
Washington per il
cinquantenario della
Nato, in foto con
un elmetto
atlantico). Otto
anni dopo, reggendosi
sui voti di Turigliatto e
Rossi e Franca Rame, il governo D’Alema-
Prodi fa la vocina lamentosa e
pone i caveat alle nostre truppe di
stanza a Kabul e ad Herat, in Afghanistan,
e poi rifiuta un segno tangibile di
solidarietà militare, stavolta con la benedizione
dell’Onu e sempre nei ranghi
dell’alleanza, mentre infuria la battaglia
dalle parti di Kandahar. Repubblica
per Daniele Mastrogiacomo ha
rotto la decennale linea della fermezza,
ma è un giornale, una famiglia professionale,
un soggetto privato; l’Italia
sarebbe uno stato sovrano, e l’alleato
militare di britannici americani canadesi
e olandesi ai quali sputa in faccia
mentre combattono i terroristi talebani
e binladenisti. Fuori l’Italia dalla
Nato, dunque.




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Governo italiano, scusati
Su Calipari, Abu Omar e gli ostaggi è casomai l’Italia a doversi giustificare

I giudici italiani continuano a tenersi
occupati attaccando le truppe americane
e gli agenti impegnati nell’antiterrorismo.
Ora anche i politici stanno entrando
nel gioco. Il ministro degli Esteri
D’Alema all’inizio della settimana ha attaccato
gli Usa perché non si sono assunti
le loro responsabilità nell’uccisione,
nel 2005, di un agente italiano in
Iraq, e pareva dare il proprio appoggio
a una causa illegittima nei confronti di
un funzionario americano. Il mese scorso,
una corte di Roma ha accusato di
omicidio e tentato omicidio un soldato
americano che ha ucciso l’agente Nicola
Calipari e ferito un ostaggio appena liberato,
la giornalista Giuliana Sgrena,
colpita a una spalla. “Il nome della persona
che ha aperto il fuoco è noto – ha
detto D’Alema – Qualunque sia la verità,
è stata un’opportunità mancata da parte
degli americani. Ora c’è un bisogno di
giustizia da soddisfare”.
Se c’è qualcuno che ha perso un’opportunità,
quello è il governo italiano
che non ha respinto l’accusa nei confronti
di un soldato americano che lavora
legittimamente in una zona di guerra.
Calipari stava raggiungendo un
checkpoint americano vicino all’aeroporto
di Baghdad in auto con Sgrena.
Un’inchiesta congiunta americana e italiana
non ha trovato un accordo nell’individuare
una responsabilità univoca
su quel che è successo. Gli Usa hanno
detto che un’auto non identificata stava
andando ad alta velocità e gli spari sono
partiti solo dopo che il conducente
ha ignorato i segnali che chiedevano di
rallentare. Gli italiani sostengono che il
soldato era inesperto e che ha reagito in
modo esagerato. Ma entrambi i governi
hanno considerato il caso come un incidente
di fuoco amico. Lo stesso non vale
per la corte di Roma. La sua affermazione
di giurisdizione extraterritoriale
è arrivata in un momento in cui era già
in corso un’altra battaglia legale contro
gli Usa. Il mese scorso, una corte di Milano
ha accusato 26 agenti della Cia per
la “rendition” di un sospetto terrorista
egiziano (l’imam Abu Omar, ndr), un’operazione
realizzata a Milano con l’aiuto
di agenti italiani. Il governo di centrosinistra
di Romano Prodi non ha avuto
il coraggio morale di dire qualcosa
contro la parodia giudiziaria di un’incriminazione
di agenti americani che,
in base al diritto internazionale, sono
immuni da procedimenti legali in Italia.
Ha resistito alle pressioni sull’estradizione
degli agenti della Cia, che in ogni
caso gli Usa non concederanno. Nel caso
Calipari, gli italiani non sono stati timidi
nell’alimentare il contenzioso politico.
Ciò che rende il tutto ancora più
fastidioso è che il governo precedente
di Silvio Berlusconi quasi certamente
ha pagato un riscatto per liberare l’ostaggio
italiano. Questo non solo ha fornito
ai jihadisti i soldi per comprare armi
e munizioni per uccidere più americani,
ma anche l’incentivo a rapire altri
ostaggi, italiani preferibilmente, ma anche
di altra nazionalità. Se c’è qualcuno
che deve delle scuse, è l’Italia.

© Wall Street Journal
per gentile concessione di MF




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cfr.:
The Wall Street Journal
March 9, 2007
Another Italian Job

Italian prosecutors and judges continue to keep themselves busy fighting American troops and counterterrorism agents. Now the politicians are getting into the act.

Foreign Minister Massimo D'Alema earlier in the week attacked Washington for failing to take responsibility for the 2005 death of an Italian agent in Iraq and appeared to endorse a spurious case against an American serviceman. Last month, a Rome court indicted the GI who fired the shots that killed Italian agent Nicola Calipari and injured freed hostage, journalist Giuliana Sgrena, who ...

rassegnastampa.mef.gov.it/t-web/pdf_fr.asp?contatore=198002&filepdf=0309I0085.PDF&datarassegna=09...




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INES TABUSSO