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LA STAMPA
27/1/2007
Abbreviare i processi. Magari
CARLO FEDERICO GROSSO

All’inaugurazione dell’anno giudiziario il Primo Presidente ed il Procuratore Generale della Cassazione hanno denunciato la lentezza dei processi e chiesto riforme in grado di assicurare risposte adeguate alle esigenze di giustizia. All’inizio della settimana il Guardasigilli aveva illustrato al Parlamento un progetto, importante e condivisibile, di riforme urgenti. Si deve innanzitutto apprezzare la prospettiva dell’intervento ipotizzato da Mastella. Riforma per i cittadini, ha affermato il ministro, e non nell’interesse di associazioni o gruppi professionali. Finalmente, dunque, sembra esserci la volontà di mettere al centro dell’attenzione le persone, con il loro pressante bisogno di una giustizia rapida ed efficace, anche a costo di sacrificare privilegi consolidati di caste e corporazioni. Ho apprezzato, d’altronde, numerosi contenuti del progetto. Prima di tutto la scelta d’intervenire con iniziative settoriali piuttosto che con riforme organiche di sistema, che molto difficilmente l’attuale, risicata, maggioranza parlamentare sarebbe in grado di approvare. In questa prospettiva il Guardasigilli ha proposto interventi coordinati su specifici temi qualificanti: ordinamento giudiziario, settori dei processi civili e penali, organizzazione della macchina giudiziaria, correzione delle c.d. «leggi ad personam». Obiettivo principale del progetto è l’abbreviazione dei tempi dei processi, che già Prodi aveva indicato a Caserta come priorità del governo. In materia civile Mastella vuole che ogni processo giunga a decisione entro un termine prestabilito, di regola non superiore ai cinque anni. A tale scopo prevede di istituire un’udienza di programmazione, di attribuire al giudice poteri di controllo dei tempi processuali, di valorizzare il ruolo delle conciliazioni. In materia penale intende predeterminare allo stesso modo la lunghezza massima dei processi, con accorgimenti volti ad assicurare la programmazione delle udienze ed il rispetto della loro durata. Ipotizza la revisione della disciplina delle nullità processuali e della competenza, con l’introduzione di preclusioni temporali dirette ad impedire che, ad anni di distanza, il processo possa essere annullato a causa delle pregresse nullità. Prevede di semplificare il regime delle notifiche e di modificare la nefasta disciplina della prescrizione (legge ex Cirielli), individuando il suo termine finale in un momento anteriore a quello della sentenza definitiva, così da evitare la moria dei processi, scoraggiare le impugnazioni meramente dilatorie e favorire i riti alternativi. Prevede di razionalizzare la disciplina del patteggiamento. Per altro verso, prefigura opportunamente la riorganizzazione degli uffici del personale ausiliario e l’informatizzazione dell’attività giudiziaria. Nella parte del progetto dedicata alla riforma dell’ordinamento giudiziario, ipotizza infine un controllo quadriennale sulla professionalità e sulla produttività dei magistrati, affidato al Csm, attraverso il quale individuare e colpire le sacche d’inefficienza della magistratura. In linea di principio tutto bene. Le misure proposte sembrano ragionevoli, anche se c’è qualche motivo di preoccupazione. Ad esempio, non è del tutto chiaro in che modo si riuscirà a garantire che i processi si concludano davvero in cinque anni. Nell’assenza di un preciso riferimento al nodo delle risorse, c’è il rischio che finiscano per essere approvate soltanto le riforme a costo zero. Il ministro ha sottolineato la centralità della questione giustizia, ma non induce all’ottimismo che soltanto una manciata di parlamentari fosse presente alla comunicazione in Parlamento. O ancora: siamo certi che la soluzione proposta in tema di prescrizione sia la migliore, o non sarebbe preferibile, anche per responsabilizzare i giudici, stabilire tempi di prescrizione calcolati per fase processuale? Ha davvero senso ampliare l’ambito del patteggiamento? Che faranno le corporazioni, in particolare quella degli avvocati, dal cui atteggiamento dipenderà in larga misura il successo della riforma? E che farà la corporazione dei magistrati, dalla quale si dovrebbe pretendere un maggiore impegno complessivo? Sarà d’altronde, il Csm, in grado di effettuare tutte le previste valutazioni di efficienza? E ancora: il ministro ha indicato, fra i temi che dovranno essere affrontati, la correzione di tutte le leggi ad personam approvate dalla Cdl. Come si concilierà tuttavia questa esigenza con la dichiarata intenzione di raggiungere larghe intese nell’approvazione delle riforme? Al di là degli interrogativi, è comunque importante che il governo si sia deciso a proporre le riforme indispensabili per il conseguimento dell’obiettivo più urgente in materia di giustizia. Si tratta di una risposta apprezzabile alle parole allarmate che sono state pronunciate ieri all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Di qui a non molto la palla passerà tuttavia al Parlamento, con la speranza che la riforma non si perda nei meandri di Montecitorio o di Palazzo Madama.


INES TABUSSO