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LA STAMPA
18 settembre 2006
OGGI SCIOPERO DEGLI AVVOCATI
La giustizia dopo l’indulto
di Carlo Federico Grosso

Nei giorni scorsi si è chiusa la pausa estiva dell'attività giudiziaria, nel
corso della quale vengono compiuti soltanto gli atti urgenti; la giustizia
dovrebbe aver ripreso il suo corso normale. La normalità è tuttavia soltanto
apparente. Il senso di disagio che accompagna la ripresa del lavoro nei
Tribunali non è mai stato, infatti, così acuto.

Gli avvocati hanno proclamato uno sciopero di una settimana a partire da oggi.
Un numero elevato di udienze penali e civili rischia pertanto di essere
rinviata di mesi, con un danno tanto più rilevante se si considera che a luglio
gli scioperi avevano già causato il rinvio di moltissimi processi e determinato
l'ulteriore intasamento di una giustizia già fisiologicamente intasata.

I magistrati sono a loro volta sul piede di guerra, in attesa che il
Parlamento blocchi la riforma dell'ordinamento giudiziario voluta dal ministro
Castelli e dalla sua maggioranza politica, riforma che è stata lasciata entrare
in vigore dall'attuale maggioranza nonostante le promesse elettorali di segno
diverso.

Gli operatori del settore penale sanno, per altro verso, che nei prossimi anni
rischieranno di lavorare a vuoto. Prima dell'estate è stato deciso di condonare
le pene fino a tre anni con l'indulto, ma di non estinguere i reati con
l'amnistia. Le conseguenze pratiche di questa scelta veramente peculiare sono
esplosive. Non essendo stata approvata l'amnistia, i processi penali dovranno
essere in ogni caso celebrati, ma la pena erogata verrà immediatamente
condonata: con il risultato che una giustizia già carica di incombenze e di
ritardi sarà costretta a celebrare riti processuali inutili, che si
concluderanno comunque con l'impunità del colpevole e con un inaccettabile
spreco di tempo e di denaro pubblico. Quest'ultima stortura non potrà
probabilmente essere corretta, dato che non vi sono le condizioni politiche
perché il Parlamento affronti in tempi rapidi un nuovo dibattito su
provvedimenti di clemenza. Alle ansie degli avvocati e dei magistrati la classe
politica dovrà invece dare in ogni caso una risposta, e se ciò non dovesse
accadere si rischierebbe addirittura il collasso dell'attività giudiziaria. Non
è pertanto un caso che l'attuale Vicepresidente del Csm abbia denunciato la
gravità della situazione ed invocato rimedi appropriati e che il Capo dello
Stato abbia sollecitato con insistenza risposte bipartisan ai problemi
istituzionali.

Per risolvere quantomeno il nodo dell'ordinamento giudiziario, molti confidano
nei collegamenti politici trasversali e nelle capacità di dialogo dell'attuale
ministro della Giustizia, che ha fatto mostra di grande ottimismo politico ed
ha promesso in tempi brevi una legge che riscriva la riforma Castelli. Confido
ovviamente che il ministro riesca nell'intento. Questa settimana è all'ordine
del giorno del Senato il disegno di legge che prevede la sospensione di tale
riforma. Si tratta di un primo esame che sarà indispensabile superare, sapendo
tuttavia che, anche in caso di successo, l'obiettivo sarebbe ancora lontano. Le
difficoltà saranno infatti molto maggiori quando si passerà alle decisioni di
merito su temi delicati quali l'organizzazione dell'ufficio del pubblico
ministero, il sistema disciplinare ed il meccanismo della progressione delle
carriere.

La protesta degli avvocati, pur criticabile per la sua venatura corporativa e
per la sua inaccettabile durata, riflette d'altronde problemi reali e non può
essere trascurata dal mondo della politica. Il ministro Bersani persegue
obiettivi condivisibili sul piano generale delle liberalizzazioni, ma ha forse
avuto troppa fretta nell'imporre specifiche linee di riforma senza adeguate
consultazioni preventive delle categorie interessate, poiché snodi quali i
minimi delle tariffe e la pubblicità sono troppo delicati per poter essere
gestiti a colpi di disegni di legge. Conseguenza naturale del suo modo di
procedere è stata una ribellione dagli effetti deflagranti che non si prevede
se e quando potrà essere controllata.

Spetta ora alle parti cercare rapidamente una via di composizione in grado di
evitare guasti maggiori, senza irrigidimenti e contrapposizioni frontali. Non
sono tuttavia di buon auspicio le stizzite reazioni verbali del ministro alle
proteste, l'asprezza delle parole pronunciate dai professionisti nelle loro
assemblee e soprattutto la recente decisione del Consiglio Nazionale Forense di
perseguire comunque sul piano disciplinare chi non rispetta i minimi delle
tariffe o si fa pubblicità: una sfida aperta al governo e prima ancora
all'autorità della legge.

Vi sono, d'altronde, ulteriori ragioni di disagio. Si pensi alle c.d. leggi ad
personam approvate dalla Cdl, che l'Unione si era impegnata ad abrogare nel
corso della campagna elettorale. Ora l'impegno sembra dimenticato. Eppure prima
o poi anche questo problema dovrà essere affrontato, poiché non è tollerabile
che il falso in bilancio continui a rimanere nella sostanza impunito o che la
prescrizione continui a falcidiare le condanne penali.




INES TABUSSO