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"Come avrei voluto essere dentro, sabato sera"
(Adriano Sofri, La Repubblica, 31 luglio 2006)



"È la prima volta in dodici anni che vado a cena fuori"
(Silvio Berlusconi sabato scorso al Billionaire, La Repubblica, 31 luglio 2006)




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LA REPUBBLICA
31 luglio 2006
POLITICA
IL COMMENTO
Correre il rischio del bene
di ADRIANO SOFRI

L'abbiamo provata tutti, nei nostri funerali laici, di non credenti, una sensazione imbarazzata di inadeguatezza, una nostalgia per i funerali religiosi. Ci mancano le parole, i gesti di cui sentiamo il bisogno. E' vero per il lutto e il dolore, è vero per la gioia. Quale annuncio dev'essere più gioioso di quello per eccellenza giubilare, del perdono, della riconciliazione, della liberazione?

Il Parlamento vota, con un concorso assai più ampio dell'introvabile maggioranza dei due terzi richiesta, una riduzione di pena fino a tre anni, e non trova le parole per dirlo. Eppure, con rarissime, avarissime eccezioni, tutti dichiarano di augurare un sollievo ai disgraziati prigionieri, qualunque opinione abbiano poi sul costo che la decisione fa pagare. Ma non si trovano parole per dirlo. Si parla, legittimamente, d'altro: è un regalo ai corrotti, ai furbetti, un compromesso necessario, un insopportabile inciucio (persino a citarla, questa parola disgusta), una misura d'emergenza, un atto di disciplina, un'obiezione di coscienza... E il perdono, e la pacificazione e il ricominciamento che il perdono promette a chi lo riceve e a chi lo concede, a una comunità intera che si apre alla fiducia?

Non abbiamo parole, non il suono dello yobel, la tromba di corno che dava l'annuncio dell'anno di grazia. La terra avrebbe riposato, sarebbe tornata agli antichi proprietari, gli schiavi sarebbero stati liberati. I 61 mila detenuti italiani hanno aspettato la notizia appesi alle inferriate, attaccati alle radioline che trasmettevano in diretta dal Senato - come avrei voluto essere dentro, sabato sera. Dice Isaia: "Come sono belli i piedi del messaggero di lieti annunzi". Chi avrebbe l'ingenuità e il coraggio di usare parole simili?

L'annuncio è arrivato, prosaicamente, da Radio Radicale. Dice il Vangelo di Luca: "Lo Spirito del Signore... mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia". Nostalgia di belle parole, sante, solenni. Immagino l'obiezione: libera Chiesa in libero Stato. Lo Stato non conosce giubilei e lieti annunzi, liturgie dell'Avvento e del Natale, lo Stato si occupa della legalità e della sicurezza... Be', non solo. L'amnistia, l'indulto, stanno scritti nella Costituzione, e proprio come riconoscimenti gratuiti dell'impegno al riscatto, al ricominciamento, e non come espedienti pratici, sgomberi di corpi inerti, evasione di pratiche polverose, occasioni di accordi politici.

La legalità, la sicurezza, non vanno senza la compassione, l'emergenza non va senza la straordinarietà. Quanto alla legalità, tremendi sono gli equivoci: perché le carceri che minano l'incolumità corporale e degradano l'anima delle persone sono illegali, oltre che disumane: e non ha senso pensare di dividersi fra fautori dell'umanità e fautori della legalità. E la sicurezza? A chi è allarmato per la liberazione anticipata dei "delinquenti", e a chi soffia sull'allarme, sperando in cuor suo che fatti atroci gli diano al più presto ragione, bisogna dire che il rischio c'è: che tra le persone che escono prima - che sarebbero dunque uscite comunque fra un anno, fra due, fra tre - molti potranno tradire il credito che è stato fatto loro, ai propri danni, e anche, gravemente, ai danni altrui. Una comunità può scegliere di correre un rischio, misurando il bene che può in cambio fare e ricevere. E' sbagliato farsi forti di un'esperienza personale, negando a chi non l'abbia vissuta una piena voce in capitolo. E tuttavia, chiedete a chi la conosca, la galera, chiedete ai direttori, agli ufficiali e agli agenti di polizia penitenziaria, chiedete agli educatori, ai medici, e avrete ben altri risultati ai sondaggi sull'indulto.

Tre anni: troppi, si dice. Ma sapete che una legge in vigore consente a chi sia in possesso di certi requisiti - un buon comportamento, un domicilio, un lavoro - di non stare in galera quando si scende sotto i tre anni di pena, e anzi, per i tossicodipendenti, sotto i quattro anni? E allora come mai con un indulto per le pene residue sotto i tre anni si annuncia l'uscita di 12 mila, o 20 mila persone? Il buon comportamento ce l'hanno: gli manca la casa, il lavoro, l'avvocato! Questo c'entra con la legalità. Con l'umanità c'entra altro. I corridoi sui quali si cammina in galera sono macchiati di sangue. I ragazzi che riempiono la galera si tagliano le vene, la pancia, la faccia, si cuciono la bocca, ingoiano lamette e batterie e forchette, si passano il metadone da una bocca all'altra, "si sfondano di seghe". In una stessa cella giovani e vecchi di condanne le più diverse, di nazioni e lingue le più diverse, di malattie diverse, finiscono per odiarsi e per venire alle mani e ai coltelli per il telecomando.

Non occorre aver visto tutto questo per sentire una misericordia: ma chi l'ha visto cerca altrove, nel profeta Isaia, nell'evangelista Luca, le parole che corrispondano alla cosa. Il Parlamento ha votato questo indulto. Non succedeva da sedici anni. Si sono ascoltati allarmi e indignazioni sincere e argomentate, e allarmismi e scandali per partito preso. C'è un risultato, bisogna spiegarlo perfino politicamente. Qualcuno preferirà spiegarlo soprattutto con un basso patto politico. Non so: non mi aspetto moltissimo dalla politica di professione. Ma bisogna aspettarsi davvero il peggio per credere che una così vasta maggioranza parlamentare si sia sottomessa a un "patto scellerato", e che legalità e umanità non abbiano avuto una loro parte essenziale - un'eco postuma degli applausi dell'aula a un Papa. Ho sentito in Senato un ex-magistrato come D'Ambrosio avvertire del costo gravissimo e per lui inaccettabile della misura, e ho sentito ex-magistrati come Casson e Di Lello, sostenere il contrario, e argomentare l'infondatezza di allarmi come quello sui risarcimenti alle vittime del lavoro, o sul cosiddetto voto di scambio mafioso. C'è qualcosa di diverso dal Partito degli Avvocati contro il Partito dei Magistrati. C'è qualcosa di tutt'altro che scontato in questo: purché lo si sappia mettere a buon frutto.

Mi auguro che i responsabili politici della sinistra non cedano alla soggezione, o alla coda di paglia, che li induce troppo spesso a dire e fare le cose quasi vergognandosene e scusandosene. Per qualunque argomento: l'Afghanistan o l'indulto o i taxi. Che dicano o facciano solo quello che credono giusto, e ne vadano fieri. E se sono costretti a compromessi in nome di un bene maggiore, e anche solo di un male minore, lo dicano senz'altro, e mettano con le spalle al muro chi si vanta illeso da ogni compromesso, in totale irresponsabilità. E non abbiano paura delle parole solenni, quando ce n'è bisogno. Avranno pur visitato una volta una prigione, ne avranno calpestato i corridoi: non possono averne dimenticato l'odore, anche se prima delle visite i corridoi vengono lavati accuratamente. Quattro anni fa scrissi - su questo giornale - una lettera al Papa, alla vigilia della sua visita al Parlamento. Finiva così: "Sapesse come sono belli i piedi dei ragazzi che escono dalla galera".




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LA REPUBBLICA
31 luglio 2006
POLITICA
IL PERSONAGGIO. Cena fiume per l'ex premier tra musica
vip e belle donne. "E' la prima serata libera da dodici anni"
Berlusconi Re del Billionaire
"Prodi non dura e io non mollo"
Lunga notte del Cavaliere nel regno di Briatore a Porto Cervo
dal nostro inviato LAURA LAURENZI


PORTO CERVO - "È la mia prima serata libera. È la prima volta in dodici anni che vado a cena fuori", esulta il Cavaliere, ospite a sorpresa, sabato sera, del Billionaire orfano di Flavio Briatore. Per "cena fuori" intende la sua prima nottata di svago assoluto: un autentico e inatteso bagno di folla nella vetrina del rampantismo in stile Costa Smeralda, dove lo champagne scorre a fiumi e il caviale viene servito con maxi-cucchiai.

Tutti i tavoli sono occupati, a bordo piscina, sotto i baldacchini velati di garza che poggiano su esotici e pregiati tappeti kilim. Letti giganti di tipo keniota, pouff, enormi cuscini. Ardono le fiaccole e tremano le fiamme di cento candele imprigionate nei lucernai stile Mille una notte.

Al tavolo del Cavaliere una decina di persone, fra cui Emilio Fede e un Lele Mora come sempre vestito di bianco ma più abbattuto del solito, e alcune giovani donne del tipo decorativo, da rotocalco, ma per ora sconosciute.

Pienone di vip di categoria solvibile. Al tavolo accanto il playboy imprenditore Tommaso Buti con Fawaz Gruosi, proprietario della gioielleria de Grisogono visitata, giusto sabato, dall'attore Denzel Washington. Al piano di sopra, nel settore più chic, gestito da Cipriani, Paolo Barilla in camicia a scacchettoni da farmer americano, il flautista lanciato da Pavarotti Andrea Griminelli e, a un altro tavolo, a festeggiare il suo onomastico con grandi scatole di caviale che viene servito a palettate, la contessa Marta Marzotto, in gran forma, con il figlio Matteo e gli amici.

Silvio Berlusconi sembra appena uscito da un lifting. Capelli di un marrone compatto, camicia di seta blu con le maniche arrotolate e golfino di cachemire color cielo appoggiato sulle spalle, fa il suo ingresso a sorpresa poco prima della mezzanotte. Dispensa sorrisi e gira addirittura tra i tavoli come si fa a un matrimonio.

"Plastica? Nessuna plastica. Sono solo più riposato. Lavoro un po' di meno, anche se con il dottor Letta per quattro sere di seguito questa settimana abbiamo fatto le due e mezzo di notte". Come ai vecchi tempi, quando governava. Qualcuno gli chiede se non è il caso che si conceda una vacanza più lunga, se non è arrivato il momento in cui finalmente mettersi a riposo. Gli viene chiesto se intende lasciare la politica: "Non posso ritirarmi, non posso farlo. Metà degli italiani mi detesta, anzi, mi odia, quelli di sinistra. Ma l'altra metà, quella che mi ha votato, mi detesterebbe se mi ritirassi. E quindi non ho nessuna intenzione di farlo".

Berlusconi continua a sorridere: "Tanto questo governo non dura. Su temi fondamentali come l'economia e la politica estera non c'è nessun accordo. Padoa Schioppa è solo un nome. Uno messo lì che non conta niente. Non crediate che per me sia stato facile tenere insieme la mia coalizione. Avevo anch'io le mie belve: la Lega e alcuni ultrà di Alleanza Nazionale. Ho avuto il mio daffare: ho tenuto 360 consigli dei ministri e abbiamo fatto 34 grandi riforme tutte importantissime e i cui risultati si vedranno soltanto negli anni a venire. Abbiamo fatto più riforme noi negli ultimi cinque anni che non tutti i governi precedenti in quasi sessant'anni. E ora il nuovo governo sta cercando sistematicamente di smontare tutto".

Circondato da belle donne, ragazze giovanissime in microgonne di jeans e trampoli di strass, fa il galante con tutte. A una giovinetta biondissima seduta al tavolo accanto al suo stringe vigorosamente la mano e con un inchino si congeda dicendo: "Complimenti per la sua bellezza". Saluta Simona Ventura, strizzata come sempre in un apprezzato abito-bustino. Quando gli presentano l'esangue Eleonora Abbagnato, étoile del Teatro dell'Opera di Parigi e ultima bionda fidanzata in carica di Matteo Marzotto, in pantaloni da odalisca d'oro a vita bassissima e minuscolo reggiseno di jeans, chiede con un sorriso malizioso: "Non ha freddo?".

Che fermento fra i tavoli. Dalla lunga scala che immette alla discoteca c'è una gran via vai di simil veline, letterine, anzi "billionairine". Raro un tasso così alto di belle & possibili, raro un simile concentramento. Il Cavaliere si guarda intorno beato e sorride, sorride, sorride. Poi sospira: "Le signore ci salveranno".

Come quasi sempre ormai non è scortato dalla moglie Veronica, ma ne parla con trasporto visibile, e anche con l'aria di chi è a posto con la coscienza, chi più di così proprio non avrebbe potuto fare. Si gloria della festa di compleanno a Marrakech ma ristabilisce la verità su quel "surprise party" che lo ha visto travestito da beduino: "È tutto vero, mi sono mascherato da uomo del deserto, sono andato da mia moglie e le ho offerto il mio regalo senza che lei potesse riconoscermi. Non è vero però che io abbia ballato. Quello no, quello non l'ho fatto. Quella è pura fantasia".

Al Billionaire la folla del sabato sera ondeggia, le signore gli chiedono autografi, fanno la fila per poter fare una foto con lui, lo baciano, lo stringono, e gli gridano: "Silvio, non ci abbandonare". Lui gongola. Sono passate le tre del mattino quando l'ex premier decide di tornare a casa.


INES TABUSSO