00 10/04/2006 01:16


CORRIERE DELLA SERA
8 aprile 2006
INTERVENTI E REPLICHE
Travaglio contro Sposini e Capuozzo

Vedo che Pierluigi Battista s' è molto risentito perché, nella mia rubrica satirica sull' Unità, «Bananas» [1], ho criticato Lamberto Sposini e Toni Capuozzo sulle ultime vicende di Canale 5. Tant' è che, nel commento «La strattonata» (Corriere, 7 aprile)[2], mi accusa senza nominarmi di: «lessico draconiano», «villano», «dileggio», «volontà punitiva ed epurativa», «purghe vendicative» e «processi sommari». È singolare che Battista, mentre il premier dà del «coglione» e dell' «infame» a questo e quello, accusando preventivamente di brogli l' opposizione, trovi il tempo di occuparsi della mia piccola rubrica. Pazienza. Ma è inaccettabile che mi attribuisca cose mai scritte. Non ho mai «trattato villanamente Sposini come un convertito dell' ultima ora al verbo ulivista»: ho semplicemente domandato come mai si sia accorto a una settimana dalle elezioni, «last minute», che il Tg5 di cui è vicedirettore dalla notte dei tempi non è proprio un modello di par condicio. Non ho mai «bollato Capuozzo come un mercenario»: l' ho definito «lottatore continuo dell' ultrasinistra passato al craxismo e ora al berlusconismo» per la semplice ragione che stava in Lotta Continua, poi passò a «Reporter» (finanziato e ispirato dal craxiano Martelli) e infine seguì l' ultrà craxian-berlusconiano Giuliano Ferrara prima a «L' Istruttoria» poi al «Foglio». Questa è cronaca, non villania. Ed è cronaca ricordare che i giornalisti del Tg5 han dovuto combattere un giorno intero per sventare il colpo di mano organizzato fra il lusco e il brusco da Berlusconi, Confalonieri, Rossella e Capuozzo per regalare l' ultimo solitario al premier padrone, all' insaputa del direttore editoriale Mentana. L' ha raccontato anche il Corriere [3], ma forse Battista era distratto: tant' è che attribuisce il fallimento della manovra alla «saggezza diplomatica di Confalonieri» e all' «equilibrio» di Capuozzo. Forse dimentica che il saggio diplomatico Confalonieri ha pesantemente insolentito, lui sì, Mentana con l' espressione avanguardistica «Chi se ne frega di Mentana». E ora, alla fine della fiera, chi insulta, offende, dileggia, punisce ed epura sarei io. Sta a vedere che, dopo aver subìto da Berlusconi e dai suoi cari 15 denunce civili per 200 miliardi di lire e dopo cinque anni di ostracismo tv, le purghe e i processi sommari li fa Travaglio.
Marco Travaglio






L'UNITA'
del 8/4/2006
SOSTIENE BATTISTA
a pag. 4
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[1]

L'UNITA'
del 4/4/2006
LAST MINUTE
(TRAVAGLIO MARCO) a pag. 8
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L'UNITA'
del 6/4/2006
PARDON, E' LA LEGGE
(TRAVAGLIO MARCO) a pag. 6
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[2]

CORRIERE DELLA SERA
7 aprile 2006
la Strattonata
SINISTRA E MEDIASET
Pierluigi Battista

In un giorno di grottesca follia la campagna elettorale si è trasformata in una guerra feroce per la spartizione dei palinsesti Mediaset. Colpa dell' «anomalia» italiana, frutto dell' irrisolto conflitto di interessi, ha osservato su queste colonne Paolo Franchi. Poteva finire peggio, ma a conti fatti qualche buona notizia è affiorata: i giornalisti della prima tv privata italiana si sono comportati con equilibrio; la stessa Mediaset, grazie alla saggezza diplomatica di Fedele Confalonieri, ha saputo mettere un argine alla bulimia presenzialista del suo proprietario nonché (attuale) premier e candidato premier. E allora perché tanto astio da parte dei giornali di sinistra verso chi ha fatto il proprio mestiere con dignità in una situazione così difficile e delicata? Perché trattare i giornalisti di Mediaset come fossero, per usare l' accorata espressione di Toni Capuozzo, «figli di un dio minore» dell' informazione? Non è accaduto ciò che si temeva: che il presidente del Consiglio potesse disporre a piacimento delle reti televisive in suo possesso. Voleva, ma non ha potuto. Vista la legittima scelta di Romano Prodi di disertare la televisione di proprietà del suo avversario come arena di un nuovo e definitivo faccia a faccia, il Tg5, a cominciare dal direttore Carlo Rossella, ha cercato le condizioni minime, prime fra tutte la presenza in studio di giornalisti «nemici» e non manovrabili, per impedire un monologo strabordante del candidato rimasto solo. Ma i giornalisti (ad eccezione di Lanfranco Vaccari, direttore del Secolo XIX) hanno detto di no e il Tg5 ha deciso di non poter mandare in onda uno spettacolo politico così platealmente squilibrato, anche grazie al sostegno del presidente Confalonieri, impegnato con successo a convincere Berlusconi che sarebbe stato meglio per tutti non insistere su una scelta lacerante. Se si aggiunge che nello stesso frangente Enrico Mentana doveva parare i contraccolpi che la bufera politica stava infliggendo alla puntata di «Matrix» con gli ospiti Fassino e Rutelli, Fini e Casini, si capisce meglio in quali apocalittici guai stesse per scaraventare le «sue» televisioni la scelta perentoria di Berlusconi di un teatrale strappo delle regole a soli quattro giorni dal voto. E invece no. Sull' Unità sfuma, con tracce addirittura di dileggio, ogni elementare distinzione tra i giornalisti di Mediaset e il premier-proprietario. Nei giorni scorsi il vicedirettore del Tg5 Lamberto Sposini è stato trattato villanamente come un convertito dell' ultima ora al verbo ulivista. Ieri, sempre sull' Unità, Toni Capuozzo è stato bollato come un mercenario, un «lottatore continuo poi passato al craxismo e ora al berlusconismo». Persino Enrico Mentana (sulla cui professionalità ed equanimità si sono espressi positivamente Fassino e Rutelli anche nel mezzo della tempesta) viene gratificato con un corsivo in cui si ironizza sul fatto che «sarà salvato dal centrosinistra, oh yes». Con una strattonata arcigna e ultimativa, si suggerisce l' impressione che chiunque abbia fatto informazione per Mediaset debba aspettare con una certa apprensione l' esito elettorale, nell' attesa di una purga vendicativa. Si proietta l' ombra del «collaborazionismo» su un' intera categoria di professionisti che non merita processi sommari e che rischia di essere intimidita da un linguaggio che deliberatamente evoca i rigori di una volontà punitiva ed «epurativa». Tempo fa Claudio Petruccioli affermò di non essere disposto a indossare il «cappello d' asino» e sottoporsi alle liturgie rivoluzionarie destinate a misurare la purezza ideologica del sangue di chiunque. Diventato presidente della Rai, Petruccioli ha dimostrato che si può conservare un accettabile equilibrio anche in una campagna elettorale oltremodo furente come questa. Neanche Mediaset, chi ci lavora e chi la dirige, merita di essere minacciata dal lessico draconiano dei custodi della purezza, come se l' auspicio in sé legittimo della sconfitta politica di Berlusconi possa estendersi alla voglia di vendetta verso chiunque abbia operato nelle reti delle «sue» tv. In una democrazia «normale» non dovrebbe essere così difficile separare i due piani.









[3]

CORRIERE DELLA SERA
6 aprile 2006

Battaglia su Berlusconi a Mediaset
Il Cavaliere vuole andare da solo in tv: no dell' Authority e dell' Unione
Il premier rinuncia dopo ore di tensione: imbavagliato.
Prodi: giudicherà chi vota.
Confalonieri contro Mentana

L' ultima battaglia politica si combatte su Silvio Berlusconi e la sua presenza alla trasmissione «Terra» di Mediaset con un faccia a faccia con Romano Prodi. Di fronte al «no» del Professore, però, parte l' idea di un' intervista al solo Cavaliere da parte di giornalisti di sinistra. Si scatena la polemica, ma Berlusconi conferma a metà mattina: vado da solo in tv. Fassino chiede l' intervento dell' Authority e il Garante minaccia sanzioni. Prodi parla di gravissima violazione della par condicio. Dopo ore di tensione e la protesta dei giornalisti del Tg5, Berlusconi rinuncia: è un regime.
Protesta il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri: «Il no del Professore è un attentato alla libertà d' informazione». Romano Prodi: giudicheranno gli elettori


Confalonieri, attacco a Prodi e lite con Mentana
«Il no del Professore è un attentato alla libertà di informazione. Prove generali del regime»
VERSO IL VOTO. IL CASO TV

Monica Guerzoni

ROMA
- «Siamo al teatro e siccome c' è la tragedia c' è anche il nostro teatro leggero...». In cima al Palatino sono le quattro di un pomeriggio surreale in cui, come in un gioco di porte girevoli, i vertici di Mediaset si scontrano senza incontrarsi mai. Il presidente Fedele Confalonieri è letteralmente fuori dalla grazia del cielo. «Mentana non ne sapeva nulla? E chi se ne frega. Non c' entrava nulla. Matrix è una trasmissione che ha la sua par condicio col bilancino, mentre soltanto oggi è andata fuori dal bilancino perché non sono venuti alcuni...». Rutelli e Fassino non sono venuti, Fini e Casini se ne sono andati, Terra! va in onda senza Berlusconi e senza Prodi e Matrix senza il quartetto di leader e nel fortino di Mediaset assediato dai cronisti si recitano scene da teatro dell' assurdo. Enrico Mentana improvvisa una conferenza stampa e lo stesso fa Confalonieri, in tandem con il direttore del Tg5 Carlo Rossella. Nervosissimi, i tre. Separati in casa.

REGIME
- Il direttore del Tg5 rinfaccia alla sinistra un' «azione ricattatoria» che ha scoraggiato i giornalisti invitati e il presidente di Mediaset, scurissimo in viso e «indignato come editore», attacca «a brutto muso» Prodi: «Lo abbiamo invitato più volte e che la prima tv del Paese non abbia il piacere di ospitarlo è un attentato alla libertà di informazione. Sono 27 anni che facciamo esami di pluralismo. Che si debba essere trattati come reietti, come se avessimo la peste o la scabbia, è inqualificabile». È a questo punto che Confalonieri avverte i cronisti: «Userò una parola grossa, che non mi è mai piaciuta. Regime. Sì, a me sembrano le prove generali di un regime». Concetto subito bocciato da Piero Sansonetti, intervenuto a Terra! da Toni Capuozzo: «Non si deve esagerare a parlare di regime», ha detto il direttore di Liberazione. Rimasto senza ospiti per via di un programma che «non era in palinsesto», Mentana si aggira inquieto, lamenta una campagna elettorale «tutta scandita su Berlusconi», si sfoga, «veniamo penalizzati noi che non abbiamo mai fatto strappi, siamo vittime di un tamponamento a catena...», alterna sorpresa e amarezza. Terra! per lui altro non è che una «trasmissione fantasma» il cui «fiume carsico non doveva mai salire in superficie». Non vuole fare il piangina, come si dice a Milano, però è scocciato, Mentana, molto scocciato. «Era evidente che una trasmissione che non tiene conto delle regole e della par condicio non si poteva fare». Quindi a Confalonieri manda a dire quanto segue: «Posso confermare che io non ne sapevo niente. Mi risultava essere il direttore editoriale e questo la dice lunga... Posso pensare che oggi a molti siano un po' saltati i nervi».

POLTRONE VUOTE
- Finisce con Terra e Matrix che mandano in onda le rispettive ricostruzioni. Mentana, solo in studio davanti a quattro poltrone vuote: «È una non puntata di Matrix». Novanta minuti per raccontare «un film sull' incomunicabilità».








IL PROTAGONISTA DEL CASO
Capuozzo, l' ex di Lc «Non sono un traditore»
«Avrei fatto una trasmissione dignitosa. Nessun regime, impera il conformismo»
Aldo Cazzullo


«Meglio un Toni Capuozzo vivo che un Hemingway morto» scrisse Adriano Sofri, e fu la consacrazione.«Ma era solo un modo affettuoso per presentare un mio reportage dall' Amazzonia. Era appena uscito un inedito di Hemingway, piuttosto deludente. E poi con Adriano siamo sempre stati amici». Entrambi in Lotta continua, entrambi figli di una triestina e di un militare meridionale (marinaio il padre di Sofri, poliziotto quello di Capuozzo). «Ma lui era il capo, io un militante. Più che Lotta continua ci univa il Friuli. Da bambino Adriano passava mesi a Masarolis, il paese della sua fantesca slava. L' ho riaccompagnato laggiù da grande. Poi ci siamo ritrovati a Sarajevo». Il paragone scherzoso con Hemingway fu scritto su Reporter. Direttore Enrico Deaglio. Sofri firmava l' inserto culturale. Capuozzo divideva la stanza con Giuliano Ferrara («Non c' era quasi mai, parlavamo poco, ho sempre creduto che mi preferisse il suo cane lupo. Invece è stato lui a chiamarmi in tv, nel ' 91, all' Istruttoria». Ora gli ha affidato una rubrica fisiognomica sul Foglio, «Occhiaie di riguardo»). Reporter lo pagavano i socialisti, in particolare Martelli; e Gad Lerner ne ha scritto sulla Stampa come esempio della «spregiudicatezza intellettuale» degli ex di Lotta continua, che continuavano l' opposizione al Pci «da destra» dopo averlo fatto per un decennio «da sinistra», con il retropensiero che alla fine sarebbero state le loro intelligenze a prevalere, su quelle degli avversari come su quelle degli alleati («Ma chi vuoi che sia questo Martelli rispetto ad Adriano?»). Poi le strade si sono divise. Deaglio dirige un settimanale antiberlusconiano. Capuozzo, dopo l' Istruttoria, è andato a lavorare a Mediaset. E ora gli è capitata la chance, o il guaio, dell' affondo finale di Berlusconi, l' ultima conferenza del Cavaliere, che proprio Capuozzo avrebbe dovuto condurre. «Infatti già mi danno del traditore. Una stroncatura preventiva, durata un' intera giornata. Peccato, perché credo avrei fatto una trasmissione dignitosa. Nulla di cui vergognarmi. Avrei posto qualche domanda da impolitico. Purtroppo il giornalismo italiano è embedded: troppo legato alla politica. Ne ha mutuato le regole imbalsamate. Non c' è neppure bisogno di attendere la vittoria della sinistra: il conformismo già impera». Prove di regime, dice Confalonieri. «Non c' è stato il regime di Berlusconi, non ci sarà quello di Prodi - dice Capuozzo -. C' è l' impero della correttezza politica». «Confalonieri che parla di prove di regime è come Bossi in partenza per la Svizzera: malaccorto. E insistere sul Berlusconi imbavagliato che va poco in tv è involontariamente comico» dice Gad Lerner. «Ma non per questo considererò mai Capuozzo un "traditore". Toni è un grande inviato di esteri, la prima firma del Tg5; lo stimo molto, ho tentato di portarlo a La 7, e c' ero quasi riuscito. Come giornalista politico, però, non è dei migliori. Strano poi che l' operazione non sia stata affidata al conduttore naturale, Enrico Mentana. O non era considerato affidabile, o non si è prestato». «Come si può mettere in dubbio la professionalità di Capuozzo? Uno che ha rischiato la pelle nei Balcani, nei Territori occupati, in Iraq? Si pensa forse che non sappia fare una domanda sulle pensioni? No, avrebbe condotto una trasmissione bellissima, piena di umanità» dice Paolo Liguori, ex direttore di Studio Aperto ed ex dirigente di Lotta continua. «Ma sono stanco di queste etichette vecchie di trent' anni; come dire che Ingrao è un ex dirigente del Guf. Capuozzo è un giornalista di sinistra non perché ha militato in Lc, ma perché è sempre stato un giornalista di strada, lontano da istituzioni e affari, attento agli umili e ai diritti umani. Capuozzo è uno che torna dalla Bosnia con un bambino che ha perso una gamba e la madre, lo cresce per cinque anni e poi lo riporta alla famiglia. Avrà diritto più di Bertinotti a parlare dei poveri? Purtroppo è rimasto vittima dei veleni della campagna elettorale, che si concentrano contro Mediaset. Abbiamo fatto buona televisione, ora vogliono farcela pagare». «Io e la politica siamo come un alcolista anonimo e il vino: non ne sopporto la vista - dice Capuozzo -. Ne ho fatta troppa da giovane. Non voto da anni; qualche volta ho votato Pannella, stavolta non lo so e non lo dirò. In Nicaragua ho visto prima la repressione di Somoza, poi quella dei sandinisti. Ho raccontato su Lotta continua la fuga dei marielitos da Cuba, beccandomi le lettere di protesta dei lettori; Montanelli portò il caso in prima sul Giornale; le lettere raddoppiarono. "Parlaci di Cuba" mi chiesero all' esame da professionista. Ero al terzo tentativo: risposi di no, che quella volta dovevo proprio passarlo, piuttosto mi chiedessero i decreti legge e i decreti delegati. Mai capita la differenza». Però ha pubblicato una guida anti-Gambero Rosso ai ristoranti per camionisti, scritto per Epoca e Panorama, lavorato sei mesi in un femminile («Dovevano fare lo Stern italiano, poi decisero di fare Vera. Fu divertente»). Ha litigato con Fede («Però gli sono grato, mi ha portato a Mediaset e mi ha insegnato il linguaggio televisivo») e con Sposini, che bacchettò le sue critiche a «Un ponte per...», l' organizzazione delle due Simone. Ora è il vice di Rossella e guida Terra!. «È stato Carlo a mettermi in preallarme, la settimana scorsa: "Preparati, forse c' è da fare un faccia a faccia tra Prodi e Berlusconi". L' altro giorno mi ha avvertito che Prodi non ci stava, ma si poteva intervistare il premier. Volevo invitare Piero Sansonetti di Liberazione e Gabriele Polo del manifesto, li ho cercati ma non li ho trovati: il rifiuto mi è arrivato tramite le agenzie di stampa. Solo dopo ho parlato con Polo: "Non dire che mi hai risposto di no, se non ci siamo neppure parlati". Abbiamo cercato anche altri giornalisti, ma non voglio esporre i loro nomi alla gogna mediatica. Peccato. Avevo molte cose da chiedere a Berlusconi. Ad esempio se non teme di aver sbagliato a contrapporre i figli dei professionisti a quelli degli operai. Perché ci sono tanti figli di professionisti che votano a sinistra, e figli di operai che votano per lui».







Il Fantasma del Regime
Paolo Franchi

Nella terzultima (se Dio vuole) giornata di campagna elettorale Silvio Berlusconi ci ha regalato una notizia buona e una cattiva. La notizia buona è che coglioni non sono, come ci era parso di capire, gli elettori del centrosinistra in generale, ma solo quelli che, pur disponendo di «beni al sole», votano ugualmente per l' Unione, andando così contro il proprio interesse. La notizia cattiva, che, come spesso accade, relega quella buona in secondo piano, è che proprio nella giornata di ieri si sono svolte le prove generali del «regime» in cui saremo costretti a vivere qualora il centrosinistra vincesse le elezioni. Così la pensano anche il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che l' annuncio in questione lo ha anzi dato qualche ora prima di Berlusconi, protestando per l' aggressione e la discriminazione subite da Mediaset, e una quantità di esponenti della Casa delle Libertà. Tutto sta, naturalmente, a stabilire se la notizia cattiva risponda al vero o se, per caso, sia stata in gran parte costruita; e l' impressione è che la seconda ipotesi sia quella che più si avvicina al vero. Si può discutere quanto si vuole, infatti, sul rifiuto di Romano Prodi di partecipare a un terzo, imprevisto confronto con Berlusconi in una trasmissione di Canale 5; ma è molto difficile immaginare che il Cavaliere (lo stesso che nel 2001 rifiutò qualsiasi duello televisivo con Francesco Rutelli) e i suoi collaboratori non lo avessero messo in conto. E' pure poco probabile che, di fronte a questo no così prevedibile, Berlusconi abbia pensato che un gruppo di giornalisti di sinistra (sindacato o non sindacato) avrebbero consentito alla richiesta di intervistarlo nella medesima trasmissione, in qualche modo sostituendosi al leader dell' Unione. Ed è ancora meno credibile che abbia coltivato davvero l' idea di sfidare tutto e tutti (le regole, gli avversari, la gran parte dell' opinione pubblica) esibendosi a ogni costo in un assolo. Molto più realistico, piuttosto, è pensare che sin dall' inizio Berlusconi avesse chiaro che quella trasmissione (una «trasmissione fantasma», ha commentato giustamente Enrico Mentana) alla fine non si sarebbe fatta, e proprio questo volesse. Per protestare contro i vincoli imposti (secondo lui, si capisce, a vantaggio dell' Unione) dalla par condicio, per denunciare la sinistra che oggi attenta alla sua libertà di comunicare e alla libertà dei cittadini di essere informati, e domani punirà Mediaset, per lanciare il grido di dolore più alto possibile sul «regime» che minaccerebbe tutti, non solo le sue reti, in caso di sconfitta della Casa delle Libertà. Può darsi che l' affondo, in termini di voti, gli giovi, anche se chi grida troppo alla censura non dà l' impressione di avere il vento in poppa. E' certo, però, che con questa storia della trasmissione fantasma Berlusconi ha rumorosamente riportato al centro della contesa il tema nevralgico del conflitto di interessi, che sinora aveva pesato, sì, nella campagna elettorale, ma certo non la aveva dominata. Anche a mettersi nei suoi panni, non sembra un' idea straordinaria.






E il Tg5 minacciò uno sciopero anti-Silvio
Il premier: da solo in tv. E' bufera su Mediaset
LA TRASMISSIONE MANCATA
Paolo Conti

La pietra tombale sui rapporti tra centrosinistra e Mediaset viene murata da Confalonieri nello studio del Tg5. Viene murata nello studio del Tg5 al centro di produzione Safa Palatino in piazza dei santi Giovanni e Paolo alle 15.50: «Mi sembrano le prove generali di un regime». Due ore e mezzo dopo Berlusconi rilancia la parola dalla Fiera di Roma: «La mancata presenza di Fassino e Rutelli al Tg5 è un assaggio del regime di sinistra». È lo slogan finale di una giornata che segna una frattura politico-televisiva. Tutto comincia alle 9 nell' ufficio del direttore del Tg5 Carlo Rossella. Arriva Fedele Confalonieri. Dalla stanza entra ed esce Toni Capuozzo, responsabile di «Terra!», approfondimento del Tg5. C' è da allestire un' edizione straordinaria del programma, non prevista in palinsesto. Ma Giorgio Marra, responsabile della produzione del centro, è in allerta da due giorni. Ufficialmente è un faccia a faccia Berlusconi-Prodi progettato martedì pomeriggio. Però Rossella ha già ricevuto per telefono l' irritato no di Silvio Sircana, portavoce di Romano Prodi. Lo schema prevede un' intervista a più voci al solo Cavaliere e lunghi filmati su Prodi. Berlusconi spiega così il perché: «L' invito è stato rivolto anche a Prodi, che ha rifiutato». Partono i primi inviti a giornalisti di diverso orientamento: Stefano Folli, Stefano Cingolani condirettore del «Riformista», Mario Orfeo de «Il mattino», Lanfranco Vaccari. Verso le 10 l' Unione lancia l' allarme: Berlusconi si sta preparando uno show personale. Sircana rende pubblica la sua lettera a Rossella: «Questo invito "last minute", sapendo che la nostra agenda non ci permetterebbe comunque di partecipare, è un utile alibi per consentire una esibizione in solitario». Piero Fassino chiede: «Intervenga l' Autorità». Qualcuno «sospetta» la complicità di «Matrix». Mentana avvisa le agenzie, ed è una chiara presa di distanza: «Nessuna puntata in programma di quel tipo». Ma la vera novità è la reazione della pancia Mediaset. Il Comitato di redazione del Tg5 (Paolo Di Mizio, Marcello Villari e Marina Ricci Buttiglione, sorella del ministro) chiede spiegazioni. Ormai «Terra!» è un gigantesco caso politico e al Tg5 già si parla di assemblea permanente, qualcuno sussurra di un possibile sciopero. Dall' ufficio di Rossella ormai mediaticamente assediato trapela il progetto definitivo: per far rispettare la par condicio saranno quattro giornalisti «di sinistra» a intervistare Berlusconi. Giuseppe Giulietti, Ds, si augura «che nessun giornalista italiano si presti allo spot di Berlusconi». Ma già prima sono già arrivati i no di Folli, Orfeo, Cingolani. L' unico sì è quello di Vaccari. Si cercano Piero Sansonetti, direttore di «Liberazione», e Gabriele Polo co-direttore de «il manifesto». È mezzogiorno, Berlusconi conferma: «Stasera sarò al Tg5, sarò intervistato da quattro giornalisti di sinistra, l' Autorità per le Telecomunicazioni ha chiesto che venga garantito il dibattito, infatti ci sarà anche il direttore di "Liberazione"». Ma da Sansonetti, che richiama Capuozzo dopo aver trovato un messaggio in segreteria, arriva un no chiarissimo quanto quello di Polo. Mezz' ora dopo proprio Polo e Sansonetti con Antonio Padellaro de «l' Unità» e Stefano Menichini di «Europa» firmano un appello: «I giornalisti italiani non si prestino a questa operazione». Confalonieri, in contatto con Gianni Letta, è impegnato su un altro fronte: l' Autorità per le Telecomunicazioni. Il presidente Corrado Calabrò ha di fronte al tavolo i quattro consiglieri di centrosinistra che chiedono una convocazione straordinaria dell' ufficio. Proprio Calabrò suggerisce a Confalonieri e Letta massima cautela. Ma la dichiarazione di Berlusconi costringe Calabrò a smentire formalmente qualsiasi «autorizzazione preventiva che non può essere richiesta» ricordando che la par condicio significa «equilibrata presenza dei soggetti politici in forma di equilibrato contraddittorio». C' è di mezzo anche l' ipotesi di una multa da 250 mila euro a Canale 5. Non l' oscuramento perché il Tg5 non ha mai ricevuto sanzioni precedenti. Nel frattempo Confalonieri e Rossella ricevono il Comitato di redazione del Tg5, a un passo dall' assemblea proclamata per le 16.30, ora fissata per la registrazione del programma. Il sindacato dei giornalisti rende pubblico il suo no a una «conferenza stampa del solo Berlusconi». La situazione si complica alle 14 quando arrivano Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini per la registrazione di «Matrix» con Piero Fassino e Francesco Rutelli. Mentana presidia il piazzale interno. Squilla il suo cellulare. È Rutelli: «Con Piero siamo d' accordo, non veniamo, nulla contro di te che sei un vero professionista, ma non possiamo fornire alibi a chi vuole mettere sotto i piedi la legge». Fini sbotta: «Gli assenti hanno sempre torto». Mentana tratta con i suoi quattro ospiti, dal vivo e per telefono: registriamo, poi se si fa davvero questa trasmissione con Berlusconi «con un accordo tra gentiluomini non ne facciamo niente». Ma in quel momento arriva la notizia: tutto annullato. Troppi i fronti: Autorità, la politica, persino un Tg5 sul piede di guerra, i no dei giornalisti, voci di probabili «autoconvocazioni» di militanti del centrosinistra davanti alla sede Mediaset durante la registrazione. Mentana vede Di Mizio e gli chiede, di fronte a tutti: «Lo sapevate di Berlusconi?» Di Mizio: «No, non lo sapevamo». Mentana: «Io l' ho saputo dal portavoce di Rutelli, figuriamoci». Alle 14.50 squilla ancora il telefono di Mentana. Qualcuno (Rutelli? Mentana non lo dice) avverte: un quarto d' ora e siamo lì. Enrico riferisce. Fini e Casini se ne vanno infuriati. Casini: «Tre quarti d' ora che aspettiamo, non possiamo stare qui tutto il pomeriggio». Fini: «Fassino e Rutelli se la facciano da soli, la trasmissione. Questo è un segno di volgarità e maleducazione totale». Le auto blu partono. Mentana raduna i giornalisti, spiega le sue ragioni e ricorda: «La par condicio l' abbiamo fatta noi, senza colpi bassi». Sul piazzale appare Capuozzo, occhi arrossati, barba lunga, aria stressata: «Non c' era nessun piano in malafede né la volontà di fare un golpe dell' ultima ora». Pochi minuti e arrivano Fedele Confalonieri e Carlo Rossella. Conferenza stampa improvvisata nello studio del Tg5. Nessun contatto con Mentana, che sta nello studio accanto. Viene evocato da Confalonieri (mai visto così irritato) quando gli chiedono perché l' ex direttore del Tg5 non ne sapesse nulla: «Mentana non c' entra niente, chi se ne frega se non lo sapeva, lui ha una sua trasmissione, chi se ne frega di Mentana». Confalonieri attacca il centrosinistra: «La parola, regime non mi è mai piaciuta, nemmeno quando la usano per Berlusconi, ma devo dire che queste sembrano le prove generali di un regime. Se parte un tam-tam come ha fatto Giulietti e si dice ai giornalisti di non partecipare lì perché hanno la peste, questo significa ghettizzare le reti Mediaset... è ventisette anni che facciamo esami di pluralismo. Mi indigna che la prima tv del Paese non abbia la possibilità di organizzare un faccia a faccia Prodi-Berlusconi». Carlo Rossella: «Perché Prodi non viene qui, siamo figli di un dio minore? Sulla nostra ipotesi di lavoro c' è stata una tempesta mediatica, il centrosinistra ha scatenato un' azione potente e ricattatoria, i giornalisti invitati sono stati intimiditi a non partecipare, non si è potuto realizzare il programma e si è deciso di soprassedere». Pochi minuti, e tutto è finito. Politici infuriati, scioperi annunciati, liti con l' Autorità. Altro che Mediaset. Oggi questa cittadella sembra proprio un pezzo della vecchia Rai.


INES TABUSSO