00 26/03/2006 20:07

"Tutti i telegiornali sono sottoposti ogni giorno a censure. Se cerchi di comprare dagli archivi Rai l’ultima puntata di Sciuscia' (quando Veneziani ha detto mi incateno al Cavallo di Viale Mazzini se cacciano Santoro), non te lo danno, neppure a delle tv straniere che l’hanno chiesto".
(Sabina Guzzanti, "L'Unità", 11 dicembre 2003)


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LIBERO
17 marzo 2005
AIUTO, MIA MOGLIE MI BRUCIA I LIBRI - LETTERA
(VENEZIANI MARCELLO) a pag.1

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Vedi anche, in fondo alla pagina, articolo dal CORRIERE DELLA SERA, 18 marzo 2005 [1]



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LIBERO
5 marzo 2006
INTELLETTUALI, SU CON LA VITA: FATE PENA
(VENEZIANI MARCELLO) a pag.1

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IL FOGLIO
26 marzo 2006
“LA SPOSA INVISIBILE” NON SEMPRE E’ INTANGIBILE
Il libro byroniano di Lord Veneziani, il gran romantico di Bisceglie

Ecco a voi Lord Veneziani. Leggendo in
parallelo, per malizioso caso, la strepitosa
“Vita attraverso le lettere” di Lord Byron
(Einaudi) e l’ultimo libro di Marcello
Veneziani, “La sposa invisibile” (Fazi), non
ho creduto ai miei occhi, tante sono le corrispondenze.
Eppure avrei dovuto immaginarmelo
che l’amico di Bisceglie prima o
poi si sarebbe tradito, che un giorno o l’altro
avrebbe messo in gioco una fortunata
carriera di politologo con l’esibizione editoriale
di un romanticismo senza freni e
senza vergogna. In dieci anni di passeggiate
pugliesi, tra la villa comunale e i bastioni
sul porto, avremo parlato di politica
per un totale di dieci minuti, non uno di
più. Se dovessi citare autori che in privato
sono altrettanto ossessionati dalle questioni
amorose dovrei passare al reparto femminile:
Camilla Baresani, Manuela Maddamma,
ovviamente Carmen Llera, una vita
per la causa. Ma solo in Veneziani l’amore
scompiglia i capelli in riva al mare,
insomma byroneggia. Nella “Sposa invisibile”,
invidiabile titolo, non manca un solo
tema di quel grande campione del romanticismo:
il mare (e il nuoto), il viaggio, la
moglie, l’amante, la puttana, l’impudicizia,
la gelosia, lo scandalo, il declino, la morte.
Byron attraversa i Dardanelli a bracciate e
Veneziani si tuffa nel Mar Rosso, Byron ha
la mania fatale della Grecia e Veneziani
un torrido pomeriggio di agosto approda a
Delfi, Byron si mette in posa con la penna
in mano sulla riva del pelago e Veneziani
sembra che aspetti anche lui il suo ritrattista:
“Scrivo al computer sotto i raggi di luna
piena nel silenzio stellato di Talamone”.
Byron, ricco com’era, viaggiava senza
alcuna difficoltà, pure Veneziani non si
può lamentare se nel breve giro di 168 pagine
in formato piccolo tocca più mete internazionali
di un Carlo Rossella dal leggendario
rimborso spese: Praga e Santo
Domingo, Vienna e Salisburgo, Barcellona
e Budapest, Lisbona e Colonia del Sacramento…
(Si vede che Libero paga bene,
chiederò a Feltri se mi prende a scrivere
in prima pagina). Veneziani doveva essere
a Phuket il giorno del maremoto, si è salvato
perché all’ultimo momento gli è venuta
la nostalgia del Natale biscegliese. Byron
e Veneziani si incontrano sul Canal
Grande e non conta che in due secoli il luogo
sia diventato la quintessenza del turistico
perché amor omnia vincit, un romantico
il romanticismo lo protegge nel proprio
cuore, i giapponesi non lo disturbano
più di tanto. Siccome il matrimonio è la
tomba dell’amore è ovvio che i due erotofili
concordino nello sparlare dell’eterno
convitato di pietra denominato moglie.
Byron sperava che la sua affogasse nell’Adriatico
(lettera a Samuel Rogers del 3
marzo 181[SM=g27989], Veneziani non arriva ad augurare
la morte a nessuno ma forse sarebbe
stato meglio farlo se l’alternativa
era scrivere “vecchia sposa andata all’aceto”,
“caso raro di una bruttezza esteriore
che coincide alla perfezione con la
bruttezza interiore”. L’impudicizia erotica
di Lord Byron e Lord Veneziani non si
ferma di fronte all’amore mercenario.
L’inglese quando prende lo scolo da una
gentildonna veneziana lo definisce “la
prima gonorrea per la quale non ho dovuto
pagare”. L’italiano, più elegiaco, dedica
righe malinconiche alle professioniste
esercitanti sulla costa nord-barese nei remoti
anni Settanta. La misteriosa protagonista
del suo libro autobiografico e aforistico
prende di volta in volta la forma
del primo amore e della puttana, della
musa e della morte, della Madonna e della
mamma (sono per lei le righe più struggenti).
Spose invisibili ma non sempre intangibili:
una certa Lulù viene definita
“corposa falena” e di una Irene che mi
sembra di avere conosciuto si ricorda l’invadenza,
“la violenza di amare”. Le amanti
rissose, i capelli ricci, le origini gentilizie,
la citazione facile, i giochi di parole,
la frequentazione di conventi, sono altre
coincidenze che collegano i personaggi in
questione. Entrambi non molto religiosi e
però affascinati dal cattolicesimo romano,
specie dai suoi riti più antichi. Entrambi
senza troppi amici ma con la tendenza ad
aggregare effimere comunelle intellettuali
in luoghi assai periferici, Byron a Este e
a San Terenzo, Veneziani a Bisceglie, e a
questo punto è prudente dare un taglio alle
analogie perché sarebbe uno sforzo da
ernia trovare consonanze tra Shelley e me
e tra Mary Shelley e Lucia Leuci, brava
ragazza e pornografa, sposa invisibile ad
honorem, la numero tre della piccola accademia
peripatetica che, dialogando
sempre d’amore e giammai di politica,
concludeva le passeggiate riunendosi al
Rosso Cardinale per un bicchiere di
Aglianico. Anche “La sposa invisibile” finisce
con un acuto. Nell’ultima pagina
leggo: “Ho scritto questo libro anziché suicidarmi”.
E poche righe sotto: “Qui giace
a pezzi l’anima di M.V.”. Ci vuole un coraggio
da leoni a scrivere frasi di questo
tenore nell’epoca del minimalismo, delle
scuole di scrittura e degli autori collettivi.
Lord Veneziani dimostra che il giovane
Werther non è mai morto, che avendo fegato
ci si può ancora spogliare in pubblico,
duellare col ridicolo, prendere il vento
in faccia. Chi l’avrebbe mai detto, un
Byron a Bisceglie.
Camillo Langone



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CORRIERE DELLA SERA
26 marzo 2006
NOVITA’ Il saggista abbandona l’impegno, disgustato dai livori della politica
La svolta femminista di Veneziani
Dalla Yourcenar a Mina: le donne come «scelta metafisica»

Il Marcello Veneziani che meno ti aspetti, non saggista politico ma "aforista
metafisico", annuncia le sue dimissioni. Da che? Dal gioco di quelli che
oggi hanno il potere in Italia o che aspirano ad averlo domani, dal trucco
dell'essere e dell’apparire, dalla ribalta politica immersa nei riti pre-elettorali,
dall’invettiva e dall’impegno. Niente caimani che mangiano le brave persone,
né comunisti divoratori di bambini, dunque, nella sua anomala raccolta di
pensieri e illuminazioni. La sposa invisibile è invece un viaggio verso un'altra
dimensione, interiore, lontanissima dalla pazza folla. Perché, muovendo da
una traccia autobiografica reale e dolorosa - la fine di un matrimonio e
delle sue certezze - Marcello Veneziani qui se ne va alla ricerca di un fantasma
femminile consolante e pacificatore, l'immagine che da un'eternità affascina
le menti maschili. Beatrice, Margherita, Giulietta, o magari un personaggio
più attuale: chi sarà mai la sposa invisibile cui si riferisce? La risposta
vien fuori a poco a poco, scavando tra un'allusione e un accenno, una confessione
e un accostamento insolito, combinando tra loro «aforismi bigami, metà Flaiano
e metà Cioran, un po' Kraus e un po' Nietzsche». La sposa invisibile di Marcello
Veneziani è il simbolo stesso dell'amore lontano, non consumato, irraggiungibile,
e perciò l'unico che ha il potere di salvare. Seguendo la morale tragica
di Unamuno, giunge infatti alla conclusione che «solo gli amori infelici
sono fecondi di frutti spirituali». E dunque via, in un percorso di cui Veneziani
fornisce il punto di partenza: è la fine di un amore, l'ultimo sms prima
che il telefonino venga spento, il rogo purificatore dei libri, il congedo
dall’album con le fotografie di un matrimonio finito.
Lungo la strada traspare l’amarezza per le illusioni perdute e l’incombere
dell'età grave - la boa dei cinquant'anni che impone al protagonista, come
a molti uomini, l'abbandono del comodo rifugio familiare e l'inizio di una
nuova vita - i rimpianti per i tanti fiori d'amore a suo tempo non colti.
Sei, addirittura, le chiavi di lettura possibili: la storia di un matrimonio
sbagliato; i ritratti di altre donne conosciute e poi scivolate nell’oblio;
un itinerario fra le scrittrici e le artiste predilette; alcune esperienze
personali di vita vissuta e di assenze; un'indagine fra le sante-megere-madri-prostitute
eccetera su cui si fonda il mito della "sposa invisibile"; infine, l'itinerario
individuale dell'autore, più apertamente metafisico, alla ricerca della propria
anima.
È un «femminista metafisico», insomma, questo nuovo Veneziani, anche se il
suo pantheon muliebre non riceverà verosimilmente il gradimento di tutte
le lettrici. Perché i nomi delle prescelte, e gli accostamenti, sono alquanto
eterodossi: si va da Lou Salomé alla Yourcenar, ci sono la madre stessa di
Veneziani ed Edith Stein, un misterioso primo amore chiamato Pierangela e
l'eterna Penelope di Itaca, l'Emily Dickinson e la Mina «diva invisibile
del canto», Hannah Arendt colta nel suo amore per Martin Heidegger e l'impareggiabile
Consuelo Velazquez mentre compone Be same mucho , Virginia Woolf redenta
dalla sua stessa malattia nervosa e l'ignota prostituta di Molfetta, verace
iniziatrice dell'adolescente Veneziani ai piaceri del sesso.
Percorso arduo, quello dell'autore: ma riscattato da un'urgenza insolita
a sbarazzarsi da ogni manierismo, a essere inattuale dicendo la verità, a
costo di riuscire sgradevole. Quel che Marcello Veneziani tenta di comunicarci
è che forse il tempo delle passioni civili è veramente arrivato al capolinea.
Invece dei valori, ci sono rimasti soltanto i livori. Disincantato, anzi
addirittura disgustato dal presente, Marcello proclama la sua maturata preferenza
per l'invisibilità e un'ambizione assai alta: meritarsi, anziché una grande
carriera, un vero destino.



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[1]
CORRIERE DELLA SERA
18 marzo 2005
Confessione su «Libero». Gli amici: così si vede che la destra ama la cultura
Veneziani contro l’ex moglie «Distrugge la mia biblioteca»
L’intellettuale: una barbarie, volumi bruciati, strappati, venduti

ROMA - «I miei libri vengono bruciati, strappati, venduti, altri sono stati nascosti sotto il materasso o il divano per poi farli sparire». Altro che amarezza: è il diario della disperazione di un letterato, di un bibliofilo. Marcello Veneziani, intellettuale caro alla destra, scrittore, consigliere d’amministrazione (uscente) della Rai, ha scelto ieri su Libero una forma particolarissima, soprattuto inedita di outing : raccontare su un quotidiano («ai lettori che considero ormai la mia famiglia») la conseguenza più dura della sua «dolorosa storia di separazione» dalla moglie Elena. Ovvero il triste destino dei suoi 15 mila volumi raccolti negli anni. Così scrive Veneziani: «I libri escono di casa in gruppi di 40-50 per non far più ritorno, per non essere venduti». E così addio a Heidegger, ad Hanna Arendt, a Gentile e Soffici, a Borges e alle Enneadi di Plotino (strappate), alla biografia di Simone Weil e a «Così parlò Zarathustra» (entrambi bruciati, rimpiange Veneziani). Non si trattava di libri da arredamento, si strugge lo scrittore, ma di volumi «letti, chiosati da me, con annotazioni a margine, sottolineature, spesso introvabili». E della brutta fine riservata a quei tomi sarebbero testimoni diretti, assicura, i due figli rimasti in casa con la madre dopo la separazione.
Ancora Veneziani su Libero : «Non credo esista barbarie peggiore verso la cultura, la civiltà e verso uno scrittore. Sottrargli i libri e gli appunti è come togliergli l’ossigeno».
Che Veneziani avesse deciso di imprimere, diciamo così, una radicale svolta alla sua vita privata era cosa nota a Roma. E certificata da varie foto che da un paio d’anni a questa parte lo hanno immortalato pieno di disinibito ardore verso una bella ragazza (bruna) palesemente diversa da sua moglie (bionda). Poi il privato (l’addio) è diventato, almeno per Veneziani, un fatto politico-culturale (il massacro della biblioteca). Spiega a voce lo scrittore: «Qui non si tratta di una divergenza di idee, che può riguardare la sfera squisitamente personale. L’attacco a una raccolta di libri ha a che fare con la cultura, quindi con la vita pubblica».
Assai arduo raccogliere l’opinione della controparte. Veneziani giura di ignorare anche il nuovo numero di telefono adottato dalla signora Elena dopo l’addio e di non conoscere il nome del suo nuovo legale. Silenzio pure a Libero dopo la pubblicazione dell’articolo di Veneziani. Ammette il direttore responsabile Alessandro Sallusti: «Siamo stupiti, per ora non abbiamo registrato reazioni». Lunghe ricerche tra amici e conoscenti ottengono risultati assai deludenti, per non dire nulli.
Nel frattempo molta destra si schiera con Veneziani. Dice Mario Landolfi, deputato An, commissario di Vigilanza sulla Rai: «Conoscendo Marcello, uomo di destra molto serio e raffinato intellettuale, se ha scelto una forma così estrema di protesta avrà avuto le sue buone ragioni. E’ una vicenda singolare. Ma chi ama i libri sa che per molti sono come i figli, il rapporto con la propria biblioteca è particolare». Angelo Mellone, giovane editorialista della nuova generazione de Il secolo , prima sorride poi diventa serissimo: «Capisco bene Veneziani. Mia moglie minaccia sempre, in caso di separazione, di distruggermi per rappresaglia tutti i libri. Noi che non siamo fallocratici ma librocratici sappiamo che dolore si può provare».
Ed è forse qui la piega più pubblica e meno riservata di una storia altrimenti privatissima. Cioè la frantumazione di un antico luogo comune caro a una certa sinistra: l’inimicizia tra la destra e l’oggetto libro, tra i post-fascisti e l’universo della cultura. Assicura Giano Accame, scrittore, saggista e storico, per anni ritenuto «scomodo» dal Msi e poi da An: «L’idea che la destra non ami i libri, addirittura non produca cultura, è un pregiudizio che risale al lungo sforzo compiuto da Gramsci e Togliatti di imitare Mussolini».
In che senso? «Quando Mussolini lasciò il partito socialista nel 1914, lo scrive De Felice, scelse il partito della cultura: Marinetti e i futuristi, D’Annunzio, Papini e La Voce . I marxisti, per dottrina, consideravano la cultura una pura sovrastruttura. Gramsci e Togliatti, uno in prigione e l’altro a Mosca, capirono quanto il controllo sull’egemonia culturale fosse una pedina fondamentale per il controllo del potere». In quanto a Veneziani? «Una biblioteca è un forte elemento di stabilità personale, familiare, psicologica. Per dirla con una battuta, è più facile cambiare moglie che portarsi dietro una biblioteca».
Paolo Conti

INES TABUSSO