00 07/03/2006 23:45


CORRIERE DELLA SERA
7 marzo 2006
Gargani e Taormina sono fuori dalle liste
Giustizia, gli esclusi della Cdl. L’Udc «licenzia» Cirami

ROMA - La Casa delle libertà rottama metà della squadra che in questi 5 anni ha confezionato ogni genere di legge sulla giustizia. Dopo tante battaglie, il Cavaliere dà il benservito, e senza neanche una telefonata di avvertimento, all’avvocato Carlo Taormina, mette in difficoltà il sottosegretario all’Interno Michele Saponara che ora corre col numero 17 nel collegio Lombardia 1 (lo stesso in cui è pur stato trovato un posto per la moglie di Paolo Berlusconi) e in Campania esclude Peppino Gargani, che poi è il responsabile giustizia del partito. Gianfranco Fini preferisce il segretario amministrativo di Alleanza nazionale, Pontone, e il titolare di una ditta di ascensori di Salerno, l’ingegnere Paravia, al senatore Luigi Bobbio che in questa legislatura ha guidato il pacchetto di mischia di An sulla giustizia a fianco del ministro leghista Roberto Castelli. Infine, Pier Ferdinando Casini che in Sicilia mette dentro le liste l’ex ministro Calogero Mannino, «ripescato» grazie alla legge Pecorella emendata dall’Udc Nino Marotta, e licenzia senza troppi complimenti l’ex pretore Melchiorre Cirami che pure ha dato il suo nome alla legge sul legittimo sospetto.


AZZURRI - Nel plotone di avvocati decimato dal Cavaliere, resistono comunque i fedelissimi. Primo tra tutti Niccolò Ghedini, che a sua volta ha fatto le liste in Veneto. Ma ci sono anche Gaetano Pecorella e l’ex pm Francesco Nitto Palma, ben posizionati in Lombardia dove però viene fatta saltare la candidatura del senatore Domenico Contestabile che ha sbattuto la porta in faccia al partito dopo essere stato relegato nella parte bassa della lista. E ci è rimasto male anche Michele Saponara, che forse verrà ripescato in Lombardia solo grazie al gioco delle opzioni, mentre Donato Bruno e Luigi Vitali hanno posizioni di tutto rispetto in Puglia. In Sicilia, invece, il presidente dell’Antimafia, Roberto Centaro (FI), sarà eletto al Senato solo se il partito prenderà cinque seggi, compreso quello che spetta al capogruppo Renato Schifani.
TAORMINA - Tra gli esclusi spicca il nome di Carlo Taormina: «Non mi hanno fatto neanche una telefonata per avvertirmi. Per l’ultima volta, sabato mattina, Maria Stella Gelmini (la coordinatrice di Fi della Lombardia, ndr ) mi aveva detto di non preoccuparmi: "Carlo, tutto a posto. Sei messo bene". Anche il capogruppo Elio Vito mi aveva rassicurato ma alla fine credo che abbiano fatto tutto Berlusconi, Bondi e Cicchitto».
Conclude Taormina, che dice di essersi sentito spesso in questi giorni con gli «amici Cesare Previti e Marcello Dell’Utri»: «Vogliono che mi dimetta dal partito ma io non me ne vado perché in parte questa è anche casa mia».
RISCHIA BOBBIO - L’ex pm napoletano Luigi Bobbio è solo quinto in Campania nella lista di An per il Senato: con quattro posti sicuri ce la farà solo se un seggio sfuggirà a un altro partito della Cdl.
D. Mart.


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l’Intervista
Domenico Contestabile è nato a Teano nel 1937. Ha esordito in politica nel Psiup, poi è passato al Psi, quindi a Forza Italia. Ha difeso, tra gli altri, Popi Saracino e Mario Capanna

Contestabile: «Cacciato con una telefonata»
EX SOCIALISTA
L’ADDIO
IL FUTURO
Non ho bisogno dello stipendio del Senato

DI Dino Martirano

ROMA - «Un esponente importante di Forza Italia, di cui non farò il nome perché sono pur sempre un gentiluomo, mi ha avvertito domenica mattina che ero fuori dalla fascia alta della lista del Senato e, così, gli ho sbattuto il telefono in faccia perché ero e rimango molto incazzato. Io, comunque, non ho bisogno dello stipendio del Senato: e ora, se esco dalla vita parlamentare, vuol dire che tornerò ai miei studi preferiti, la filosofia medioevale». L’ex socialista Domenico Contestabile, Memmo per gli amici, 100 e passa chili di stazza e di intelligenza pura, sta per ricevere ospiti a cena in una bella casa a due passi da Foro Romano ma prevede che l’arrabbiatura gli durerà ancora. In fin dei conti non se lo aspettava che lo scaricassero così, con una telefonata di domenica mattina: «Mi conosco. Magari domani verso mezzogiorno è tutto passato». E Berlusconi? Il tratto di penna finale sulle liste è suo, o no? «Certo, è lui che decide ma io non sono arrabbiato con lui e, a questo punto, gli auguro lo stesso di vincere. Confermo la mia fedeltà assoluta a Forza Italia».
Per capire fino in fondo la vivacità intellettuale un po’ garibaldina del filosofo Memmo Contestabile nato a Teano (Caserta) l’11 agosto del 1937 - che, tra gli altri, ha difeso in tribunale Popi Saracino, Mario Capanna e l’ex ministro Francesco De Lorenzo - bisogna fare un balzo indietro. Agli anni ’60, quando lui, l’«avvocato rosso» che girava in Mercedes, esordì in politica con il Psiup a Baggio. Ma il vero battesimo con la notorietà arriva quando due giovani socialisti aderenti all’Unione goliardica italiana - sempre Memmo, stavolta insieme all’effervescente Lino Jannuzzi - mettono in scena una delle più belle prese in giro della storia della sinistra italiana, travestendosi da membri della delegazione vietnamita invitata al congresso del Psi di Genova: «Lui era il capo delegazione e io il suo interprete. Ma il segretario Francesco De Martino, che era delle nostre parti, presto si accorse che quello non era vietnamita ma puro e semplice napoletano. Fummo costretti a scappare, inseguiti da molti socialisti inferociti».
Senatore lei è stato socialista per quasi 40 anni ma poi è con Forza Italia che ha ricoperto incarichi istituzionali importanti. Ritiene conclusa la parabola iniziata nel ’94?
«Con il Psi non ho ricoperto grandi incarichi ma ho avuto l’onore di essere stato amico di Craxi. Poi con Forza Italia ho fatto 3 legislature. Sono stato sottosegretario alla Giustizia, vice presidente del Senato, presidente della commissione Difesa. Ecco, cominciavo ad annoiarmi. Quindi posso anche andare a casa: mi mancherà la politica ma non è una tragedia. Torno ai miei studi, alla filosofia medioevale».
Forse al Senato mancheranno quei suoi interventi a braccio, pronunciati dai banchi della prima fila.
«Io ho sempre parlato a braccio. In Parlamento credo di essere uno dei pochi che sa ancora parlare».
Cosa le mancherà della politica?
«Mi mancheranno certi momenti. Io, che ero stato nel Psi fin quando nel ’92 la procura della Repubblica lo ha sciolto, ricordo bene i mesi trascorsi al ministero della Giustizia: col ministro Biondi fummo i protagonisti del tentativo fallito, però generoso, di riportare la giustizia sui binari della normalità».
Perché, dunque, il suo nome è saltato dalla lista di FI?
«Siccome non ero stato messo in un posto che ritengo consono, ho rinunciato alla candidatura. In Lombardia, mi avevano dato un posto non sicuro. E così ho detto loro di no».
Il suo amico Jannuzzi, invece, lo ricandidano.
«Lui lo ricandidano, a Napoli. Per fortuna».
E gli altri ex compagni, quelli della diaspora socialista?
«In qualunque schieramento finiamo, poi non dimentichiamo mai di aver militato nello stesso partito. Sa, come è la vita: sciolto il partito, chi si è fatto maomettano, chi ebreo, chi cattolico. Però sempre socialisti siamo rimasti».
E lei addirittura voleva passare per vietnamita.
«E certamente, pure vietnamita».
Senatore, allora? A chi ha sbattuto il telefono in faccia?
«La prego di non farmelo dire a chi ho sbattuto il telefono in faccia».
A un povero disgraziato che non c’entrava nulla?
«No, non era un povero disgraziato che non c’entrava nulla».
Era uno importante quello che si è preso il telefono in faccia?
« Sì, proprio così».
Lei gli ha detto che che un posto in lista così in basso non era consono all’avvocato Memmo Contestabile.
«Proprio così. E gli ho detto anche che io non ho bisogno dello stipendio del Senato della Repubblica».
Questo le fa onore.
«Grazie».


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LA STAMPA
7 marzo 2006
POLITICA
L’AVVOCATO: «EPPURE SONO IL VICEPRESIDENTE DI FORZA ITALIA ALLA CAMERA»
Taormina: l’ho saputo da altri,
credevo fosse una barzelletta

ROMA. Espulso come un clandestino extracomunitario. Ma Carlo Taormina il Battagliero, avvocato e deputato di Forza Italia («Vicepresidente del gruppo alla Camera, prego»), non lascia correre. «Dico, una telefonata me la potevano fare. Invece niente. L’ho scoperto per caso. Mi assicuravano che ero il terzo nella lista della Lombardia. Poi mi hanno detto che ero in Emilia-Romagna. Ma non mi sono fidato. Ho chiamato la mia amica carissima Isabella Bertolini. E lei mi ha detto che non c’ero. Ma siccome tutto quello che noi facciamo, a Forza Italia, lo riferiamo a Berlusconi, allora io dirò che anche questa esclusione è riferibile al Presidente. Continuo a stimarlo ma ha permesso che ciò accadesse».

Nemmeno un posticino.
«E’ un’esclusione voluta a tutti i costi. Quando mi hanno convocato, sabato mattina, sia il capogruppo sia il coordinatore regionale, mi dicevano di stare tranquillo. Lo stesso i maggiorenti del partito...».

Poi il colpo di scena.
«Una persona amica me l’ha comunicato perché ha potuto vedere le liste. La cosa mi sembrava quasi una barzelletta. E invece ho accertato che è così».

Cioè la lasciano a casa.
«E’ un’operazione premeditata, chiunque l’abbia fatta, o ha consentito che venisse fatta... Certamente non condivisibile. Io comunque resto dentro Forza Italia, che è l’unico partito della mia vita. Mi sono iscritto nel ‘94. Mai prima di allora avevo preso una tessera. E siccome un partito non è di nessuno, ma di tutti, e quindi un pezzetto anche mio, credo che sarà importante fare una battaglia. Perché questa mancanza di confronto non abbia più a determinare vittime sacrificali come è capitato alla mia persona».

Nessuna telefonata. Quindi non ha idea delle ragioni dell’esclusione.
«Guardi, mi sono fatto un esame di coscienza... Ho fatto bene il deputato. Ho fatto le leggi più importanti. Ho presieduto una commissione d’inchiesta, sulla morte di Ilaria Alpi, che per la prima volta nella storia della Repubblica ha raggiunto risultati ottimali. Abbiamo svelato una sistematicità di depistaggi, abbiamo sollecitato la riapertura del processo... Abbiamo segnalato le complicità istituzionali: nella magistratura, al Sismi, al Sisde, alla Rai... Forse sarà qui la ragione della mia esclusione».

Ah, ecco il Taormina polemico. E’ l’operato della commissione che pesa.
«Ma avrebbe dovuto fare piacere! Mi auguro che non sia questo il motivo».

E allora parliamo dei suoi nemici.
«Guardi, io nemici ne ho tanti, dentro e fuori il partito. Chi, come me, fa di mestiere la pratica della verità e del disinteresse, purtroppo i nemici se li fa sempre. Non posso negare che ho appena ricevuto telefonate da altri partiti. Mi chiedevano se volevo candidarmi altrove. Ma io non cambio casacca perché non mi danno un posto in Parlamento. Certamente ho molte invidie dentro Forza Italia. Sa, mi conoscono... quando vado in giro conoscono più me che alcuni corodinatori. E ho anche in mente qualche nome. Però se anche la mia opinione coincidesse con la verità, io credo che un leader come Berlusconi non ci sarebbe dovuto cascare».


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LA STAMPA
7 marzo 2006
Trombatura ad personam
di Mattia Feltri

Melchiorre Cirami era il buono, Giuseppe Gargani il brutto, Carlo Taormina il cattivo. Indole diversa e obiettivo comune: rifare la Giustizia per conto di Silvio Berlusconi. L'hanno perseguito con dedizione tale che pronunciare i loro nomi significa pronunciare un programma politico, e dare il titolo alle furiose polemiche di un quinquennio. Loro erano, nel retrobottega delle nostre memorie, le leggi ad personam e la sfida pettoruta alla magistratura. Per chi sta da una parte, erano i fidi e coraggiosi scudieri, per chi sta dall'altra i lustrastivali del principe. E oltretutto erano davvero come i tre pistoleri di Sergio Leone: perfettamente distinguibili e supplementari.

Gargani, settantenne ex democristano, parlamentare di ultradecennale carriera, ora impegnato a Strasburgo, è la mente della riforma dell'ordinamento giudiziario per la quale il ministro leghista Roberto Castelli è stato giudicato dalla magistratura come il peggior Guardasigilli della storia repubblicana. Per Gargani la disistima della casta è una medaglia da tenere nel cassetto. Cirami è il braccio, e infatti porta il suo nome una delle leggi su cui destra e sinistra si sono randellate per notti intere nello studio di Bruno Vespa. E' quella sul legittimo sospetto, che a Berlusconi non servì per trovarsi un giudice meno sgradito e alla quale un paio di no global a processo per i fatti di Genova fecero ricorso concedendo a Cirami una tregua. Avete visto, disse, che non è ad personam? Ma, in realtà, piegato dalle polemiche tentò di consegnarla alla storia senza il suo cognome sopra.

Quanto a Taormina, lui non era né il braccio né la mente, era direttamente la mitragliatrice. Non c'è togato del ramo inquirente o giudicante del più periferico distretto della penisola che egli non abbia cercato di consegnare alla reclusione passando per il cilicio. A furia di dichiarare criminali le controparti, finirà malissimo, si teme, e certe inchieste a suo carico rafforzano il sospetto. Ecco, si è usato il tempo imperfetto sulle vicende umane e professionali del gruppo per il motivo che nessuno dei tre sarà candidato alla composizione del prossimo Parlamento. Gargani doveva lasciare Strasburgo per Montecitorio, e invece no. Taormina doveva continuare fra le aule di giustizia e quelle di legiferazione la sua estrema battaglia, e invece dovrà farsi bastare le prime. Cirami, che non è di Forza Italia ma dell'Udc di Pierferdinando Casini, dovrà rinviare a una legislatura successiva il sogno di battezzare una norma più ampiamente apprezzata dell'ultima.

Accomunati dall'estremo rigurgito, Gargani, Cirami e Taormina hanno sbuffato di contenuta rabbia, tratteggiato oscure trame e trattenuto lo sfogo. Ma non saranno loro a portare avanti la missione. Non avranno la ricompensa su cui chiunque avrebbe scommesso. Se erano servi, restano malpagati, come sovente capita ai servi. Se erano coraggiosi, hanno speso male il coraggio. Rimane una certezza: gli amici non li vogliono più, i nemici non li rimpiangono. Se è giustizia, è fatta.


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LA STAMPA
7 marzo 2006
POLITICA
LE ESCLUSIONI ILLUSTRI E IN FORZA ITALIA C’È CHI SI LAGNA: IL PREMIER SENTE DI AVER RISOLTO I GUAI GIUDIZIARI
E gli avvocati spopolano nell’elenco dei trombati
Gargani lasciato a Strasburgo, Saponara in coda di lista
Ugo Magri


ROMA. Con il nuovo sistema elettorale, ci sono due categorie di «trombati»: quelli che non ottengono la candidatura, e coloro che vengono collocati giù in fondo alle liste. Salvano la faccia, è vero, però le loro chances di essere eletti sono decisamente scarse. Caso classico, quello di Michele Saponara, che tra gli avvocati di cui si circonda Silvio Berlusconi era considerato esponente di spicco. Gli hanno concesso il diciassettesimo posto in Lombardia, quando quelli intorno al dodicesimo già cominciano a tremare. Per farcela, Forza Italia dovrebbe stravincere le elezioni.

La sorte di Saponara fa intendere che il Cavaliere ormai si sente al sicuro dalle inchieste giudiziarie, dunque smobilita quel «partito degli avvocati» che gli aveva fatto fin qui da scudo in Parlamento. La vittima più illustre è Carlo Taormina, già sottosegretario agli Interni (dovette dimettersi dopo una violenta polemica coi pm milanesi) e noto al grande pubblico se non altro per la vivace difesa di Annamaria Franzoni. Taormina non ha trovato posto nelle liste berlusconiane, sebbene fosse stato disponibile perfino a una presenza puramente simbolica. Stessa sorte è toccata a Giuseppe Gargani, il quale non esercita la professione di legale, ma s’era guadagnato parecchie decorazioni nelle guerre sulla giustizia: l’hanno lasciato fuori con la motivazione che è già europarlamentare, dunque può accontentarsi. Gargani, democristiano di lunghissimo corso ora alla corte di Berlusconi, ha accettato la decisione del Capo senza fare, però, salti di gioia. «A guardare la composizione delle liste di Forza Italia, con parenti, mogli e personaggi senza alcun raccordo con il territorio, c’è da restare sconfortati...», è stato il suo commento.

Addio Melchiorre Cirami
Ma il segno più evidente che una stagione è finita, e viene seppellita in fretta, sta nell’esclusione dalle liste Udc di Melchiorre Cirami, colui che aveva dato il nome alla famosa legge sul legittimo sospetto. Anche qui, c’è una motivazione formale: Cirami viene dalla magistratura, e Pier Ferdinando Casini aveva molto insistito sull’opportunità di tenere lontani i giudici dalla politica. Ma le ragioni vere sono altre. Cirami è sempre stato in odore di berlusconismo, con quella legge lo dimostrò ampiamente, e di questi tempi essere troppo amati dal premier (almeno nell’Udc) non è certo un titolo di merito.

Sempre nel partito di Casini, c’è chi è stato fatto fuori perché inquisito. Ad esempio Remo Di Giandomenico (coinvolto nell’inchiesta avviata dalla procura di Larino) o Calogero Sodano (nei guai con la magistratura di Agrigento). E c’è invece chi, come Massimo Grillo, s’è auto-escluso per non vedere il proprio nome al fianco di inquisiti. Nel suo caso, del governatore siciliano Totò Cuffaro, anche lui esponente centrista, del quale Grillo ha denunciato il sistema di potere. Da Roma gli hanno proposto la quinta posizione della lista al Senato in Sicilia occidentale, proprio dietro a Cuffaro: prendere o lasciare. Grillo ha scelto la seconda strada. «Mi hanno messo alla porta e reagirò di conseguenza», ha protestato. C’è chi scommette che finirà con Leoluca Orlando nell’Italia dei valori. Di auto-esclusi se ne conta un manipolo. Qualcuno per raggiunti limiti di età, come Franco Servello di An, in Parlamento dal 1958. Ha rinunciato sua sponte, e gli hanno detto grazie per l’opera svolta (ma forse anche per aver fatto largo ai giovani). Altri, come il forzista Alberto Gagliardi, perché il posto che gli era stato offerto non prometteva nulla di buono. Non ha ancora rinunciato, ma medita di farlo per gli stessi identici motivi, l’Udc Maurizio Ronconi, al pari di Cirami considerato nel suo partito una quinta colonna del Cavaliere. Altri ancora, è il caso dell’azzurra Grazia Sestini, hanno detto no alla candidatura per una scelta assolutamente personale (curare la madre malata).

In cambio di Ferrando
Non è notizia, a sinistra, l’esclusione di Marco Ferrando dalle liste di Rifondazione comunista: le sue dichiarazioni sul diritto dei «resistenti» iracheni di spararci addosso sollevarono un caso. Però i trotzkisti di «Progetto comunista» (Ferrando ne è il portavoce) sono entrati addirittura in 8 nelle liste bertinottiane.



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LA REPUBBLICA
7 marzo 2006
Centrodestra
Taormina e Cirami, fuori gli anti-pm
Salta il patto tra Fi e radicali di centrodestra: a questi ultimi un seggio certo invece di tre. La psicologa Slepoj passa da An all´Udc
Il partito di Fini candida Stefio, uno dei bodyguard sequestrati in Iraq. Nelle liste forziste la sorella del suo collega Agliana
In lista ma con poche speranze il recordman delle presenze. E c´è chi accusa: premiati gli amici degli amici
CARMELO LOPAPA


ROMA - Cinque anni al servizio della causa. A presidiare l´aula, alzare la mano e votare sempre e comunque sì. A mettere il proprio nome in testa alle leggi più discutibili. E alla fine, ecco il benservito: depennati, proprio sul traguardo. Nomi illustri e illustri sconosciuti ma fedelissimi e infaticabili: è il popolo dei sommersi, di quelli che non ce l´hanno fatta o che quasi sicuramente non ce la faranno. Lasciati a sorpresa fuori dalla porta di Montecitorio e Palazzo Madama, da Taormina a Cirami, o abbandonati nel limbo di un posto a rischio, da Saponara alla Carlucci fino al recordman delle presenze in aula, Baiamonte.
Per garantire il «ricambio» dentro la Cdl, certo, ma anche per fare posto a comici e soubrette. Largo a Pippo Franco e a Mara Carfagna. «Fare le liste con questo sistema ha richiesto uno sforzo in piu» ha confessato Fini. Ma le giustificazioni non sono bastate a chi perderà il titolo di onorevole. E il malpancismo è esploso subito. Soprattutto dentro Forza Italia. Col senatore piacentino Agogliati, settimo in lista, insorto contro «questa legge elettorale che premia il criterio dell´amico dell´amico» o col vicecapogruppo al Senato Falcier, che ha denunciato la «premeditata pulizia etnica». Ad essere salvato comunque dalla «pulizia» è stato il drappello di inquisiti e processati illustri. C´è sempre un posto assicurato in Parlamento per Marcello Dell´Utri (sesto al Senato in Lombardia) e per Cesare Previti (quinto alla Camera nel Lazio). Ma anche un ritorno da garantire a Calogero Mannino (secondo con l´Udc al Senato in Sicilia), ex ministro Dc in attesa di sentenza, che ora può esultare: «Rieccomi qui». Di certo c´è che Berlusconi, Fini, Casini e Bossi (suo il ricambio parlamentare più consistente, col 50 per cento, ma ha schierato anche la sorella Angela e il nipote Matteo Brivio) hanno badato a blindare i loro colonnelli, ministri e dirigenti, candidandoli in più regioni.
Gli esclusi. La voglia di rinnovamento dentro l´Udc che si prepara a cambiare il 40 per cento della squadra è costata il seggio al paladino anti Cuffaro Massimo Grillo (che ha rinunciato piuttosto che andare dietro Cuffaro), ma ha fatto anche un´altra vittima illustre. Si tratta del senatore Merchiorre Cirami, proprio lui che ha firmato la contestatissima legge sul legittimo sospetto, pedina forse di un certo ingombro che ora il partito di Casini ha preferito mettere a riposo. Ma d´altronde la mannaia non ha salvato nemmeno alcuni uomini del governo. Il sottosegretario agli Interni Michele Saponara, avvocato di Previti, non è riuscito a strappare che il diciassettesimo posto con Forza Italia alla Camera in Lombardia 1. Il sottosegretario agli Affari regionali Alberto Gagliardi è stato cancellato del tutto dalla lista forzista della Liguria. Ma tra i volti noti che rischiano di lasciarci le penne, il 9 aprile, c´è anche Gabriella Carlucci, solo tredicesima in Puglia. Non sarà conosciuto come l´ex presentatrice, ma il suo contributo il forzista Giacomo Baiamonte credeva di averlo dato in questa sua terza legislatura: è stato recordman delle presenze in aula col 99,91 per cento che gli era valso il grazie di Berlusconi. Ma non la rielezione: «Mi hanno collocato al nono posto in Sicilia occidentale, candidatura ad alto rischio, non commento ma meritavo ben altro trattamento». Altri hanno sbattuto la porta e sono andati già via prima di attendere il responso. Il deputato di Forza Italia Antonio Russo, il più votato in Campania nel 2001, collocato all´undicesimo posto alla Camera, ha inviato un telegramma al premier per notificare l´addio: «Mi dovrà spiegare, intanto la mia dignità vale più di un posto in Parlamento». Stessa storia in Sardegna, dove hanno rinunciato alla corsa, pur di non accettare una soluzione di ripiego, il deputato uscente Sergio Milio e il sindaco di Lula Maddalena Calia. Ma correrà la sua buona dose di rischio anche Italo Bocchino, candidato della Cdl alle ultime elezioni regionali contro Antonio Bassolino, e ora finito al quinto posto della squadra di An nel collegio Campania 2. Tagliati fuori dalle fila di Forza Italia i Riformatori liberali Marco Taradash e Peppino Calderisi. Quest´ultimo ha ottenuto un inutile undicesimo posto in Piemonte, l´ex radicale non è stato nemmeno candidato. E dire che l´accordo concluso dalla piccola formazione col partito del Cavaliere prevedeva proprio tre posti sicuri come «diritto di tribuna». E invece il posto è arrivato solo per Benedetto Della Vedova, quinto per la Camera in Piemonte 1. Il siluramento già nell´aria ha spinto alcuni aspiranti candidati a trasmigrare verso altri lidi. Così, la psicologa e scrittrice Vera Slepoj ha abbandonato An per approdare a un sicuro terzo posto con l´Udc nel Veneto. Stesso approdo per il deputato ormai ex forzista Paolo Ricciotti. Ma c´è anche chi è stato costretto al forfait per più nobili ragioni di famiglia: Grazia Sestini, senatrice di Forza Italia e sottosegretario al Lavoro, si è fatta da parte per curare la madre.
Le new entry. Dal Bagaglino a Palazzo Madama il passo può essere breve se ci si chiama Pippo Franco. È stato il colpo dell´ultimora della lista Dc-Psi. Rotondi e De Michelis faranno guidare al comico la lista del Senato nel Lazio. Forza Italia ha risposto con un seggio quasi garantito in Campania alla trentenne soubrette televisiva Mara Carfagna, una lunga serie di comparsate su Rai e Mediaset alle spalle ma soprattutto un presente da militante berlusconiana con tanto di carica di responsabile regionale di «Azzurro Donna». Alla Di Centa in corsa per Forza Italia il partito di Fini ha risposto con Marisa Masullo, ex primatista della velocità schierata in Lombardia al Senato. E se An ha candidato Salvatore Stefio, sequestrato in Iraq nel 2004, i forzisti hanno invece inserito nella lista toscana guidata da Bonaiuti e Bondi, ma in ventiduesima posizione, Antonella Agliana sorella di un altro body guard.
Le riserve indiane. Fidarsi del proprio partitino è bene, ma meglio non rischiare e approfittare dell´ospitalità di Berlusconi per un «posto sicuro». Così hanno pensato in tanti, tra i piccoli leader della Cdl. Il repubblicano Giorgio La Malfa finisce secondo alle spalle del premier nelle Marche, Gianfranco Rotondi della nuova Dc quarto al Senato in Lombardia, Stefania Craxi quinta in Lombardia 1 e Chiara Moroni quarta alla Camera in Lombardia 3. Stessa soluzione per alcuni uomini di Raffaele Lombardo dell´Mpa piazzati qua e là in giro per l´Italia. Sono il prezzo delle tante intese coi cespugli.
I governatori. Non hanno resistito al richiamo delle urne, tutti i quattro presidenti di Regione della Cdl. L´incognita è legata ora al destino delle loro poltrone. I forzisti Roberto Formigoni (Lombardia) e Giancarlo Galan (Veneto) hanno rinviato la scelta, mentre Michele Iorio tornerà a candidarsi per la Presidenza del Molise. L´unico Udc del gruppo, Salvatore Cuffaro, ha già annunciato che si dimetterà da senatore per tentare la rielezione in Sicilia contro Rita Borsellino. Il seggio sicuro al Senato (terzo posto) dell´ex presidente della Provincia di Milano Ombretta Colli dovrebbe convincerla a rinunciare a sfidare Letizia Moratti al Comune.


INES TABUSSO