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CORRIERE DELLA SERA
2 gennaio 2006

I magistrati di Milano hanno già recuperato trecento milioni
Il tesoro delle scalate: 4 volte Mani pulite
E’ la cifra sequestrata finora alla galassia Fiorani. Indagini sui capitali di Consorte, Gnutti e Ricucci

MILANO - Comunque vada, per dirla alla Chiambretti, sarà un successo. O, più precisamente, un affare. Almeno per lo Stato e le parti lese. Perché le varie inchieste giudiziarie con le quali la Procura di Milano da un paio d'anni ha preso a solcare gli agitati mari della finanza, prima ancora e persino a prescindere dalle future sentenze, un risultato concreto l'hanno già portato, e di dimensioni patrimoniali degne di una piccola «manovra» finanziaria: più di 850 milioni di euro recuperati (1.700 miliardi di lire).

Il record lo sta stabilendo proprio l'ultima nata, l'indagine sulla scalata occulta della Banca Popolare di Lodi e dei suoi alleati «concertisti» alla Banca Antonveneta (accertamenti estesisi poi all'Opa di Unipol sulla Bnl, al rastrellamento di Rcs ad opera di Ricucci, alle operazioni dell'holding di Gnutti, e finanche all'utilizzo dei fondi della presidenza della Confcommercio). Già oggi, infatti, i pm milanesi (Greco, Fusco, Perrotti) tengono sotto chiave 110 milioni di euro di plusvalenze sequestrate ai clienti- prestanome della banca di Fiorani; i 94 milioni di euro di plusvalenze realizzate direttamente dalla stessa PopLodi, che la nuova gestione della banca ha depositato su un conto vincolato a disposizione della Procura quando questa le ha dissequestrato i 2 miliardi di euro di azioni Antonveneta «congelati» a inizio inchiesta; e i 70 milioni di euro che Fiorani ha all'estero e che si è impegnato a far rientrare in Italia (evento al quale, insieme a una volontà che sia realmente di pieno disvelamento degli intrecci dietro le tre scalate, è legata anche la sua speranza di arresti domiciliari); più una manciata di conti di correnti- sponda di Fiorani, per almeno altri 25 milioni bloccati in ottobre.

In tutto, dunque, poco meno di 300 milioni di euro (600 miliardi di lire) in un'inchiesta sola: una cifra che fa impallidire, quadruplicandolo, il monte- risarcimenti assommato dall'intera Mani pulite (150 miliardi di lire). E l'inchiesta è lungi dall'essersi conclusa: in futuro anche i «pesanti» pacchetti azionari in mano a Gnutti e Ricucci potrebbero essere decurtati (al momento del dissequestro dei capitali) delle plusvalenze che siano risultate illecite; così come da verificare è il destino sia dei 70 milioni sequestrati a Roma nell'indagine sui «fondi del presidente» Confcommercio, sia dei 50 milioni, senza vincolo, spiegati dai vertici Unipol (Consorte e Sacchetti) come legittimi guadagni per «consulenze» a Gnutti.

Ma il caso Antonveneta non è una meteora, bensì la punta di un iceberg. Di un cambio di mentalità dei pm. Che, specie con i pm Francesco Greco e Eugenio Fusco, valorizzano la micidiale (persino troppo, secondo molti uomini d'impresa) arma della legge 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i reati commessi da loro dipendenti nell'interesse aziendale. Quanto possa essere temuta l'hanno dimostrato, ad esempio, i tedeschi di Siemens Ag che, pur negando di aver pagato tangenti per 6 milioni di euro a dirigenti italiani di Enelpower ed escludendo quindi ogni ammissione di responsabilità o dovere risarcitorio, hanno comunque ritenuto (prima ancora della fine dell'indagine) di raggiungere con la «persona offesa» Enel una transazione da 160 milioni di euro tra cash e prestazioni [1].
Sempre più spesso, peraltro, il lavoro dei pm finisce per determinare anche indirette conseguenze patrimoniali a favore della società danneggiata. Nell'inchiesta Parmalat ci sono già stati «colossi» indagati, come Nextra (società di gestione del risparmio all'epoca di Banca Intesa) o come Morgan Stanley (banca d'affari internazionale), che hanno preferito chiudere il contenzioso legale con il commissario della nuova Parmalat, Enrico Bondi, versando rispettivamente 160 milioni e 155 milioni di euro nelle assetate casse di Collecchio.

Idem, ormai, nelle inchieste di pubblica amministrazione. L'indagine sui maxiammanchi al Tribunale Fallimentare di Milano, operati da una curatrice infedele e riciclati poi anche nella Radio 101 dei fratelli Borra, ha sinora già determinato la vendita alla Mondadori dell'emittente per un ricavato di 39 milioni di euro, più altri 2 milioni dai beni dei fratelli messi all'asta sul sito Internet della Procura. E se Paolo Berlusconi e i suoi soci nella gestione della discarica di Cerro Maggiore hanno risarcito complessivamente più di 50 milioni di euro per poter patteggiare la pena con il consenso degli stessi pm Perrotti e Taddei, altrettanto si sono rassegnati a fare per altri 2 milioni di euro (a favore dell'Anas) i 30 imputati e le 10 società alle prese con le prove raccolte dal pm Maurizio Romanelli nell'inchiesta sulle tangenti piovute (dopo le frane) sugli appalti Anas per la manutenzione delle strade in Lombardia.
Luigi Ferrarella



[1]
VEDI:

7 gennaio 2003
Richiesta dei pm milanesi che indagano sul caso Enelpower al Gip. L’accusa: il colosso tedesco ha venduto turbine versando 6 milioni di euro in nero

«Tangenti, vietate gli affari con Siemens»

La Procura: i suoi manager responsabili di corruzione, bloccate i contratti con la pubblica amministrazione


MILANO - Divieto di contrattare con tutta la pubblica amministrazione italiana: è la misura interdittiva che la Procura di Milano chiede all’Ufficio delle indagini preliminari di adottare nei confronti del colosso tedesco Siemens Ag per l’inchiesta sui fondi neri e le tangenti attorno agli appalti 1999/2001 di Enelpower, la società dell’Enel che costruisce centrali elettriche. La richiesta-choc, comunicata ieri al difensore Ennio Amodio che nell’udienza fissata per il 3 dicembre rappresenterà davanti al giudice delle indagini preliminari Guido Salvini le ragioni dell’azienda a sostegno del rigetto della richiesta, trova fondamento nella legge 231 dell’8 giugno 2001 sulla responsabilità amministrativa delle società per reati commessi dai dipendenti nell'interesse aziendale. Sinora questa legge è stata utilizzata in Italia solo tre volte e solo per iscrivere nel registro degli indagati per corruzione la «persona giuridica» di una azienda, ma mai a questo livello per applicare a un gigante dell’economia uno dei più potenti strumenti messi a disposizione dalla normativa, quale appunto la possibile interdizione da qualunque contratto con la pubblica amministrazione.
Siemens Ag, e più precisamente la divisione che a Enelpower ha venduto le proprie turbine, nella prospettazione dei pm Francesco Greco e Eugenio Fusco avrebbe consentito che due suoi dirigenti e un suo consulente (tutti tedeschi e residenti in Germania) concordassero con Antonino Craparotta (l’ex presidente di Enel Produzioni) e con Luigi Giuffrida (l'ex amministratore delegato di Enelpower) 6 milioni di euro di tangenti, volte ad assicurare all’azienda tedesca commesse del valore di alcune centinaia di miliardi di lire nel programma Enelpower di riammodernamento di centrali. Giuffrida (arrestato il 6 giugno con il vicepresidente di Enelpower, Gabriele Caressa) e Craparotta (precipitatosi in Procura il 2 agosto per «dichiarazioni spontanee» che gli hanno risparmiato il carcere) si sarebbero suddivisi il denaro, pagato loro con fondi provenienti da due conti esteri, uno in Liechtenstein e uno in Dubai, e intermediato da un imprenditore arabo che all’inizio dell’inchiesta ha offerto collaborazione ai pm milanesi.
Craparotta, nell’ammettere il pagamento illecito, lo ha descritto come una sorta di «riconoscenza» elargita da un fornitore e accettata per «errore». Ma la Procura, che ha già chiesto una rogatoria in Liechtenstein, non abbandona l’idea di poter mettere le mani sulle carte bancarie dei due conti esteri: un «tesoretto» che ritiene sia riferibile alla Siemens Ag e sia stato usato anche per effettuare ulteriori pagamenti ad altri soggetti in differenti contesti e vicende.
Le soluzioni possibili il 3 dicembre sono tre. Il giudice Salvini potrebbe non accogliere la richiesta se non ne ravvisasse i presupposti indicati dalla Procura; potrebbe, se invece li condividesse, accogliere la richiesta e farla diventare esecutiva; oppure potrebbe accoglierla e tuttavia sospenderne l’esecuzione nel caso in cui l’azienda mostrasse di essersi attivata per ottemperare alle tre condizioni che la legge elenca all’articolo 17 in tema di «riparazione delle conseguenze del reato».
La prima e la più onerosa condizione è «l’eliminazione delle conseguenze dannose» della corruzione e dunque «il risarcimento integrale del danno», in questo caso a Enelpower. Trattative sul punto, peraltro, prima della richiesta di misura interdittiva sembravano già aver raggiunto uno stadio piuttosto avanzato tra la divisione sotto inchiesta del colosso tedesco e l’Enel di Scaroni: trattative non molto distanti dal potersi concretizzare attorno ai 70 milioni di euro (forse sotto forma di «sconto» sul prezzo del contratto di «service», cioè di manutenzione delle turbine che Enelpower comprò da Siemens Ag senza appunto che i contratti incorporassero anche la successiva e costosa manutenzione). La seconda condizione è che la società «elimini le carenze organizzative che hanno determinato il reato, adottando e attuando modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie di quelli verificatisi»: da questo punto di vista, la legge carica le società quasi di una responsabilità oggettiva per i comportamenti corruttivi dei propri dipendenti, da stroncare con procedure interne più stringenti. Infine c’è la terza condizione, che è anche la più scabrosa: «Mettere a disposizione, ai fini della confisca, il profitto» delle tangenti. Il che, in casi come questo, può essere poco agevole e molto controverso da calcolare.
lferrarella@corriere.it
Luigi Ferrarella





7 giugno 2003
La scheda
NOVITA’ L’inchiesta su Enelpower sta sperimentando due nuovi strumenti giuridici: la configurabilità del reato di corruzione anche di funzionari pubblici all’estero e la responsabilità amministrativa delle società per reati commessi dai dipendenti nell'interesse aziendale.
SANZIONI
Tra le sanzioni patrimoniali ci può essere la confisca di somme equivalenti alle tangenti in ipotesi pagate nell'interesse della società. Altre sanzioni sono interdittive.


MILANO - Irrompe ora sulle megacentrali elettriche per tangenti da 6 milioni di euro in mezzo mondo, ma la legge 231/2001, sulla responsabilità amministrativa delle società per reati commessi dai dipendenti nell' interesse aziendale, ha debuttato un anno fa nelle lavanderie di un ospedale milanese per bustarelle da 4mila euro. E’ infatti nell’inchiesta del pm milanese Francesco Prete sulle tangenti per le forniture agli «Istituti clinici di perfezionamento» che, nel novembre 2002, tre aziende fornitrici (appunto una di servizi di lavanderia e due di ristorazione) vengono «processate». Sì, perché con questa legge anche la «persona giuridica» delle società può essere iscritta nel registro degli indagati qualora i suoi dipendenti abbiano corrotto qualcuno. E può andare incontro a un ampio spettro di sanzioni. Alcune sono di natura patrimoniale: si va dalla multa secca alla società (variabile per entità) sino alla confisca di somme di importo equivalente alle tangenti pagate nell' interesse della società. Ma altre sanzioni sono invece interdittive, e potenzialmente sono proprio queste le più incisive sulla vita di una azienda: perché dal «divieto di pubblicizzare beni o servizi» si può arrivare all'«esclusione da agevolazioni, finanziamenti e contributi». Fino allo spauracchio più temuto dalle imprese: il «divieto di contrattare con la pubblica amministrazione», quello che ora si materializza nell’inchiesta Enelpower.
Proprio il precedente delle lavanderie e della ristorazione dell’ospedale «Icp», però, segnala quanto sia vergine (nell’inesplorata prassi giudiziaria e nell’ancora acerba dottrina giuridica) l’applicazione della nuova normativa: in questo caso (in verità particolare, vista la contenuta entità delle tangenti) il giudice bocciò poi la richiesta di vietare alle società indagate di fare contratti con la pubblica amministrazione, ritenendo sproporzionata la misura interdittiva o non ricorrenti i presupposti per disporla.
L. Fer.




8 novembre 2003
«Le tangenti Siemens? Una strategia per vincere i contratti»
Su questa motivazione i pm fondano la richiesta di vietare appalti con la pubblica amministrazione italiana

MILANO - «L’erogazione di tangenti» per Siemens Ag? «Considerata come una via percorribile nell’acquisizione di commesse», anzi «una possibile strategia imprenditoriale». E’ questo il giudizio che i pm Francesco Greco e Eugenio Fusco ritengono di poter trarre dall’inchiesta sulle due gare (valore 361 milioni di euro) vinte da Siemens Ag per la fornitura a Enelpower (controllata da Enel) di 12 turbine a gas. E su questo giudizio i pm fondano la richiesta di vietare alla divisione del colosso tedesco di stipulare contratti con la pubblica amministrazione italiana. Una misura contemplata dalla legge del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle società per reati commessi da propri funzionari, e ritenuta dai pm «l’unica in grado di ripristinare la concorrenza e le regole di mercato violate» dalla «illecita posizione di monopolio» acquisita «dalla Siemens Ag ai danni sia dell’ente appaltante sia soprattutto degli altri fornitori». Il 3 dicembre deciderà il giudice Guido Salvini, valutando anche le ammissioni di Luigi Giuffrida (amministratore delegato di Enelpower) e Antonino Craparotta (stessa carica in Enel Produzioni), indagati per corruzione (fino al maggio 2002) per aver incassato da tre dirigenti tedeschi 6 milioni di euro di tangenti da conti della società a Vaduz e Dubai.
In cambio, Giuffrida ammette d’aver «svolto con Craparotta un grosso lavoro tecnico per adattare la gara alle esigenze produttive della Siemens, nel contempo fornendole tutte le informazioni utili per aggiustare le offerte per la gara». Anche per non compromettere (con offerte eventualmente sballate) la preferenza tecnica a Siemens che i vertici Enel avevano già accordato «a monte» e «prima della gara» in «una riunione - dice Giuffrida - che non era un consiglio d’amministrazione nè una riunione formale, alla presenza mia e di Tatò ( allora n.1 di Enel, non indagato, ndr), nell’ufficio di Tatò. Cannatelli ( manager di Enelpower, non indagato, ndr) e Craparotta arrivarono con i loro rispettivi studi durati per circa 6 mesi, consigli attraverso i quali avevano deciso che la filiera di Enel Produzione sarebbe stata Siemens e la filiera delle centrali Gencos sarebbe stata General Electric». Scelta che, assegnando la filiera a Siemens, impegnava il gruppo Enel per 20 anni con un unico fornitore e senza vincoli ai costi di manutenzione: «Nessuno - ricorda Giuffrida di quella riunione - ha avuto da ridire su tale decisione».
lferrarella@corriere.it
Luigi Ferrarella




4 dicembre 2003
La cifra pattuita tra le due società è di 160 milioni
Risarcimento Siemens Ag per l’inchiesta Enelpower

MILANO -Più soldi, in un colpo solo, di quanti ne abbiano recuperati 10 anni di Mani pulite: propizia un risarcimento da capogiro l’inchiesta della Procura di Milano sui 6 milioni di tangenti pagate all’estero nel 2000/2001 da due manager e da un consulente tedeschi di Siemens Ag per appalti italiani di Enelpower. Ma, soprattutto, alla prima applicazione, dimostra le sue potenzialità la legge sulla responsabilità amministrativa delle società per reati commessi da propri manager nell’interesse aziendale. Il colosso tedesco, che i pm Francesco Greco e Eugenio Fusco chiedono al giudice Guido Salvini di sanzionare con la misura interdittiva del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione italiana, ha offerto un risarcimento che (tra contanti, sconti sulla manutenzione, e potenziamento tecnologico delle centrali a gas) per Enel vale appunto 160 milioni di euro.
L’accordo è stato formalizzato a verbale in Tribunale, nell’udienza in cui il giudice Salvini ha ascoltato le posizioni di accusa, difesa ed Enel (con l’avvocato Alberto Moro Visconti), riservandosi di decidere nei prossimi giorni se ordinare o no la misura interdittiva a carico della società tedesca difesa dal professor Ennio Amodio.
A dispetto del risarcimento, il legale ha argomentato che la legge non sarebbe applicabile alla società tedesca per difetto di giurisdizione, ha sostenuto che non esistano indizi di un coinvolgimento dell’azienda nelle tangenti, ha rivendicato la correttezza delle gare «con procedure Cee negoziate e senza preferenze», ha negato la riferibilità a Siemens Ag dei due conti in Liechtenstein e Dubai usati dai manager tedeschi per pagare le tangenti che i manager di Enelpower (Craparotta e Giuffrida) hanno ammesso di aver intascato. E allora perché risarcire l’equivalente di 320 miliardi di lire se tutto era impeccabile? «Per due ragioni - ritiene di calibrare la risposta l’avvocato Amodio -. Una processuale, la prima cosa che si fa sempre è risarcire la persona offesa. E una di correttezza commerciale e buoni rapporti con Enel». Insomma, Siemens Ag paga una fortuna, «ma sempre riaffermando che esclude ogni responsabilità penale, civile o amministrativa».
Acrobazie transattive a parte, il risarcimento del danno è una delle condizioni previste dalla legge per neutralizzare la richiesta di misura interdittiva. Insieme all’adozione di «modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie di quelli verificatisi». Per Amodio esistono già e sono efficaci. Per i pm, invece, restano poco più di un codice etico incapace di impedire che «l'erogazione di tangenti» fosse «considerata» dentro Siemens Ag «come una via percorribile nell'acquisizione di commesse», quasi «una possibile strategia imprenditoriale».
lferrarella@corriere.it
Luigi Ferrarella
INES TABUSSO