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CORRIERE DELLA SERA
18 settembre 2005

«Io, Silvio e le nostre barzellette su sesso e intrighi»
Leone, il forzista che passa le battute al Cavaliere: lui ha lo spirito di
Bramieri, Prodi è un musone

«Ma che politica. Donne! Le barzellette che ci raccontiamo con Berlusconi
parlano di donne. Sesso. Intrighi. Difetti, fisici e caratteriali. Il presidente
è uomo di profonda ironia e autoironia: sa sdrammatizzare, conosce l'arte
comica di volgere il pianto in riso, la tragedia in farsa. E sa ridere anche
di se stesso». Antonio Leone, vicepresidente dei deputati di Forza Italia
e grande raccontatore di storie, non va però confuso con l'Alvaro Vitali
del berlusconismo. Il suo eloquio ricorda piuttosto l'Aristotele della purtroppo
perduto libro della Poetica dedicato alla commedia. «L'umorismo che piace
al presidente nasce dal rovesciamento dei ruoli, dalla simpatia naturale,
dalla conoscenza degli uomini e delle cose - argomenta Leone -. Lo spirito
di Berlusconi si inserisce nella tradizione del grande umorismo italiano:
Dapporto, Bramieri, la rivista televisiva che ora torna di moda, pensi a
quanti programmi sono debitori di Studio Uno. E poi la commedia anni Settanta.
E il cabaret anni Ottanta che oggi ha ancora successo, come quello di "Drive
In"». La sinistra invece? «Loro sono il contrario. Guardi Prodi. Musone.
Immalinconito. Tormentato. Malmostoso. Non parla il linguaggio della gente,
trasmette solo ansia e pessimismo». Non è che lo stato dell'economia italiana
trasmetta altro. «Noi siamo consapevoli delle difficoltà. Però le affrontiamo
senza perdere il sorriso. Bene ha fatto Francesco Verderami sul Corriere
a raccontare la vicenda. Però non ho l'incarico ufficiale di trovare le sue
barzellette. E lui non mi assicura un seggio in Parlamento per questo. Sono
il vicecapogruppo vicario dei deputati di Forza Italia, ho 180 persone sotto».
Il vice di Elio Vito potrebbe incarnare un ruolo-chiave nella mitopoiesi,
nella creazione della leggenda di Berlusconi: accanto a Scapagnini che veglia
sulla sua quasi-immortalità, al mistico Bondi nel convento di Arcore, al
musico Apicella, mancava il vate della barzelletta. Nel suo saggio «Il teatrone
della politica», Filippo Ceccarelli indica nel dirigente di Mediaset Carlo
Momigliano il collaudatore delle storielle del Cavaliere: se non ride, muoiono
lì; se ride, si possono raccontare. L'on. Leone nega però di essere il creatore
e il collettore; almeno, non l'unico. «Non c'è nulla di scientifico; è tutto
spontaneo. E non racconterò mai una delle nostre barzellette a un quotidiano,
tanto meno quella dell'altro giorno in Transatlantico. Alcune sono irripetibili
fuori dal contesto: le cene dei deputati di Forza Italia con il presidente,
i momenti di relax a fine giornata, le pause del lavoro. Non è un modo di
evitare i problemi, fa parte della nostra natura di uomini liberi, cui piace
ridere, scherzare, comunicare con la gente». Un dono che la sinistra e i
suoi comici hanno perduto. «Benigni a me non piace. Si prende troppo sul
serio. Preferisco Panariello e la sua capibilità». Capibilità? «Un comico,
come un politico, dev'essere vicino ai più umili. Uno come Banfi se n'è allontanato.
Negli anni Settanta è stato un grande. Adesso fa il nonno comunista, sempre
con l'Unità in mano: una barba? Adoravo Beppe Grillo, ma ora pure lui si
è immusonito, è sempre arrabbiato. Luttazzi? Quello non fa ridere, fa piangere.
La Guzzanti? Molto meglio. So per certo che l'imitazione di Sabina non dispiace
a Berlusconi». Però la sua trasmissione Raiot è stata sospesa alla prima
puntata. «Ma lei crederà mica che sia stato Berlusconi?».
Il Cavaliere è in effetti un estimatore del genere, tanto da spingersi a
imitare davanti a testimoni la sua stessa voce, a farsi caricatura di se
stesso. Fu Oliviero Toscani il primo a evocare Dapporto e lo spirito degli
anni Cinquanta. Il suo repertorio è vario, ed è stato pure studiato in un
saggio sulla barzelletta pubblicato dal Mulino. La storia dei malati di Aids
(che dovrebbero provare le sabbiature, non per guarire ma per abituarsi a
stare sotto terra) indignò Veltroni e spazientì pure la signora Veronica,
ma attirò l'attenzione sulla sua campagna elettorale in crociera culminata
con il 25% alle Europee del '99. Altre volte si è accostato a Gesù («se quelli
di sinistra mi vedono camminare sulle acque dicono che non so neppure nuotare»),
ha inscenato discese agli inferi e assunzioni in paradiso, colloqui con San
Pietro, sorvoli in elicottero su cortei Cgil («Come posso accontentarli?
Buttando qualche banconota?» «No, buttandosi lei»). «Ma non è Berlusconi
o uno di noi a inventarle - spiega Leone -. La barzelletta è creata dal popolo.
Il presidente le ascolta, le apprezza, ne ride. E le racconta». Il suo humour
è stato accostato a quello dell'altro politico anticonformista - e commediografo
- Guglielmo Giannini; che come riferisce Sandro Setta nella sua storia dell'«Uomo
Qualunque» raccontò in Parlamento la barzelletta del pappagallo spagnolo
addestrato a fischiettare le canzoni rivoluzionarie, che preferì la morte
per mano franchista a una vita passata nascosto sotto le gonne di una vecchia
signora (nella metafora di Giannini, la Dc). Poi vennero Moro e Berlinguer,
Craxi e Almirante, e non ci fu più nulla da ridere.
«Ma ora la comunicazione politica lo impone - dice l'on. Leone -. E Berlusconi
è il più attrezzato. Raccontare barzellette, come facciamo noi, significa
amare la gente, e saperne captare la benevolenza. Si è chiesto il motivo
del ritorno della commedia Anni Settanta, quella del Banfi vero? Gli italiani
si sono stufati delle cose serie. O, meglio, vogliono distinguerle da quelle
facete. La sinistra invece le confonde. Si muove in un cupo mondo di ombre.
Ha fatto bene Luca Ricolfi a intitolare il suo saggio "Perché siamo antipatici"».
Leone è simpatico fin dalla giovinezza: nato a Putignano, cresciuto a Manfredonia,
«città di grandi carnevali». La vita l'ha portato a occuparsi pure di cose
serie: avvocato penalista, in Parlamento dal '96, ha fatto parte della Commissione
stragi. In Berlusconi ha apprezzato, tra l'altro, il grande semplificatore.
«Sono cose che si imparano da ragazzi. Un altro dettaglio abbiamo in comune:
anch'io, fino all'università, suonavo nelle orchestrine. Chitarra e basso.
Poi mio padre mi ha fatto smettere». Con le barzellette invece ha continuato.

Aldo Cazzullo

INES TABUSSO