00 17/08/2005 00:23

TUTTE LE RISPOSTE CHE VORREMMO GRIDARE AL RIFORMISTA SE FOSSIMO CAPACI DI
METTERLE IN FILA CON QUESTA LOGICA, QUESTA CHIAREZZA, E QUESTA FORZA:
(in fondo trovate i riferimenti per leggere gli articoli citati da Colombo)



L'Unità
14 agosto 2005

Per il bene del Paese
Furio Colombo

Si sta diffondendo quietamente, qua e là nelle interviste di Ferragosto,
una curiosa persuasione. Si esprime così: per il bene del Paese è sconsigliabile
creare una contrapposizione nei confronti di Berlusconi. Proprio adesso che
sempre più gente si è convinta che qualcosa di grave sta davvero accadendo,
sotto questo governo, dopo gli ostinati segnali di allarme di cui Berlusconi
si indignava al punto da cacciare chi mandava quei segnali, proprio adesso
si moltiplicano le voci secondo cui non si deve essere «antiberlusconiani
con l?elmetto» oppure che «l?antiberlusconismo non paga». O anche, che c?è
ben altro di cui occuparsi, e da quel «ben altro» ci distrae l?ossessione
berlusconiana, da cui è bene dunque stare alla larga.
Ciò che stupisce, negli inviti, a volte calmi, a volte bruschi e persino
sprezzanti, è un?implicita tendenza a vedere come normale la vita politica
italiana ai tempi di Berlusconi e immaginare le prossime elezioni come una
qualunque alternanza, oggi sei un po? più a destra, domani un po? più a sinistra.
Invece gli analisti internazionali della situazione italiana ci dicono, con
interventi anche drastici, che l?Italia non sta attraversando una semplice
turbolenza. Ci dicono che il nostro Paese è in emergenza, e che si tratta
di un?emergenza grave. Ci spiegano che è un?emergenza che ha una causa identificata
e precisa: il governo. In Italia il governo è una persona sola, con un solo
calendario di priorità: le leggi ad personam, la vendetta contro la Magistratura,
il sovvertimento della Costituzione, la cancellazione del falso in bilancio.
Perché allora ci ammoniscono a non occuparci sempre e solo di Berlusconi,
come se fossero il ministro Martino, o il ministro Buttiglione, o il ministro
Fini, o persino il vicepresidente del Consiglio Tremonti a segnare e a far
ricordare questa letale congiuntura politica italiana?
* * *
È possibile che «l?ossessione Berlusconi» sia una distrazione dal vero impegno
politico?
Quale può essere un vero impegno politico che non cominci dalla rimozione
di Berlusconi, da quel suo incastro tra potere politico e interesse privato?
A questo punto, di solito, segue un elenco civico di buone cose da fare («invece»
- ti dicono - «della demonizzazione di Berlusconi»). E ti elencano scuola,
giustizia, lavoro, formazione, conti pubblici, riforma fiscale, sanità, pensioni.
Giusto. Ma nessuna di quelle cose si può fare finché Berlusconi non solo
tiene in mano i giocattoli dello Stato, ma li deforma, li frantuma, li rende
inservibili, come ha fatto con la Rai affinché non disturbasse la sua azienda
Mediaset.
Berlusconi è il chiodo - il solo chiodo - che tiene al suo posto tutto lo
strano governo di cui è presidente. È un governo completamente passivo e
obbediente perché Berlusconi, da solo, è il motore del governo. Non vorrete
attribuire questa funzione essenziale a Giovanardi?
E nessuna buona lista di cose da fare può essere compilata, e neppure cominciata,
senza prima porre riparo ai gravi guasti inflitti allo Stato italiano da
Berlusconi. Senza prima cancellare le sue leggi-vergogna.
Ti dicono, allora, che il problema è l?economia. Esatto. Ma al centro c?è
Berlusconi e il suo gigantesco e multiplo conflitto di interessi. Non perché
il conflitto di interessi impoverisca l?Italia. Non direttamente. Ma perché
nasconde, camuffa, consente ricatti, oscura la realtà, altera cifre e dati,
inonda il Paese di falsi annunci, domina le comunicazioni, cambia le notizie,
diffonde illusioni, mentre lavoro e aziende affondano. A occhio nudo lo vedi
solo quando è troppo tardi.
* * *
Restano due domande. La prima. Può esserci il berlusconismo senza Berlusconi?
La risposta è certamente sì. Se condoniamo il conflitto di interessi, e mettiamo
la polemica a tacere come un noioso capitolo di «una questione morale che
bloccherebbe gli sbocchi della politica» (Claudia Mancina, il Riformista,
11 agosto) in quel caso è fatale che il berlusconismo continui. È una stravagante
risposta, certo. È chiaro che, voltando le spalle ad ogni questione morale,
e in particolare alla macchia enorme del conflitto di interessi, si incoraggiano
al peggio sia i politici sia i cittadini. È una triste pedagogia che, col
tempo, potrà eliminare il dubbio se il Paese sia davvero migliore, o sia
invece simile a certa sua classe politica.
La seconda domanda è quella sollevata, per tempo e con la dovuta drammaticità,
da questo giornale e da un editoriale del suo direttore Antonio Padellaro:
può esistere Berlusconi senza il berlusconismo? Ovvero, il suo regime di
complici, clienti, profittatori, subordinati e ossequiosi prudenti può continuare
a vivere in imponenti forme aziendali ed editoriali, anche senza Berlusconi
al governo?
Prima ancora della risposta, viene una lavata di testa al direttore de l?Unità
da parte del direttore del Riformista, quel signore con la pipa che compare
regolarmente in televisione al posto di Padellaro ogni volta che è necessario
avere in video «un giornalista rappresentante della sinistra». Questa volta
il compassato e anglofono Riformista si arrabbia, tratta Padellaro da discolo.
«Dopo una brillante carriera al Corriere della Sera e un passaggio a l?Espresso
(veramente è stato vicedirettore di quell?importante settimanale per un po?
di anni, ndr) ha sulle spalle la complessa eredità di Furio Colombo». Gli
dedica una nota di compatimento. E lo accusa di non sapere neppure che cosa
valga sul mercato un?azienda.
Spiega tutto il primo capoverso di un memorabile editoriale del Riformista
(11 agosto) destinato a stroncare l?Unità, il suo direttore di adesso, quello
di prima, e anche personaggi evidentemente incompetenti (benché parlino inglese
e abbiano cattedra nelle più prestigiose università del mondo) come Giovanni
Sartori, personaggi che non smettono mai (evidentemente a sproposito) di
meravigliarsi del conflitto di interessi di Berlusconi.
«Il direttore di un quotidiano finanziato (tra gli altri) dai parlamentari
Ds, ha scritto ieri un editoriale, piccato del nostro editoriale del giorno
precedente nel quale invitavamo l?opposizione a non farsi del male continuando
a demonizzare Berlusconi o a esagerare la sua potenza, proprio adesso che,
invece, manifesta la sua debolezza» scrive il Riformista. In un solo paragrafo
c?è sprezzo per i parlamentari Ds, che sono così stupidi da finanziare un
giornale di opposizione che - pensate - demonizza Berlusconi. C?è sprezzo
per un giornale che, per almeno tre anni dei quattro trascorsi sotto questo
governo, si è battuto da solo contro Berlusconi, ricevendo, in solitudine
ignobili accuse personali e una montagna di querele (finora tutte vinte).
E non si imbarazza al pensiero che nessuna opposizione democratica al mondo
viene spinta indietro da cordoni di vigilantes volontari che dicono di militare
nelle file della stessa opposizione. Conoscete un altro capo di governo del
mondo democratico, uno solo, che non possa essere «demonizzato» (parola scelta
dallo stesso Berlusconi per rifiutare le critiche) ovvero avversato democraticamente,
con tutte le forze, sino ad indurlo, attraverso il voto, allo sgombero? E
se adesso la sua immagine è un poco sgonfiata, rispetto a quella sussiegosa
e padronale presentata agli italiani da Bruno Vespa e presa per buona da
quasi tutti i media (non ricordiamo alcun intervento in proposito del Riformista)
non sarà anche merito di chi, raccontando ancora e ancora ciò che Berlusconi
ha fatto e andava facendo, raccogliendo i giudizi della stampa di tutto il
mondo, esponendosi al rischio di riuscire «sgradito» e dunque al rischio
della vendetta, ha puntato tutta la sua critica politica sul personaggio-chiave
di questi infelici anni italiani?
Sostenere che Berlusconi ha perso peso e credibilità per caso e da solo,
e non a causa dell?essere obbligato a confrontarsi ogni giorno con un personaggio
pulito e normale come Romano Prodi, alla guida di tutta l?opposizione unita,
è un pensiero stravagante. Ma il Riformista non è sfiorato da alcun dubbio.
E l?editoriale memorabile così continua: «E comunque, suvvia Padellaro, è
solo Berlusconi, non è Superman». Come dire: quante storie state facendo
per un multimiliardario che vuole soltanto impiantare casa e bottega al Quirinale.
Comunque il caso vuole che quello stesso giorno Ernesto Galli Della Loggia
abbia scritto sul Corriere della sera (editoriale, 11 agosto): «Sospetto
e diffidenza costanti aleggiano attorno al presidente del Consiglio italiano
ogniqualvolta si tratta di soldi, di aziende, di affari sia nella sfera pubblica
che in quella privata. Berlusconi dirà sicuramente che ciò accade a causa
del tentativo di demonizzarlo. Ma non è così. Il tentativo di demonizzarlo
c?è. Ma il successo della demonizzazione si spiega con quella cosa che Berlusconi
conosce benissimo e che si chiama conflitto di interessi».
Il caso vuole che il giorno dopo l?editoriale di scherno dedicato a Padellaro
dal Riformista, Bill Emmott, direttore dell?Economist abbia detto al Corriere
della Sera (12 agosto): «Siamo ostili a Silvio Berlusconi per molte ragioni.
Soprattutto questa: la stretta relazione fra attività di governo e affari.
Il suo governo ha riproposto legami malsani fra politica e business. Consideriamo
il governo italiano di centrodestra un tradimento delle idee liberali». Come
vedete, siamo in buon compagnia. Ma dobbiamo avere pazienza.
In quest?ultima fase dell?impegno di liberare l?Italia da Berlusconi e dalla
sua corruzione dobbiamo accontentarci del sarcasmo ironico dei saggi e pacati
commentatori del Riformista. Li ritroveremo attivi, festanti, protagonisti,
la sera dopo le elezioni. Promettiamo che non guasteremo la festa. Mostreremo
di credere che - nei giorni difficili, quando Berlusconi controllava tutto,
e poteva anche decidere la messa al bando dalla vita pubblica di chi lo osteggiava
(attività di denuncia e di critica democratica definita da lui «demonizzazione»)
- abbiamo fronteggiato insieme, e poi sconfitto insieme il peggior pericolo
per la democrazia italiana dopo il fascismo. Per il bene del Paese.
furiocolombo@unita.it



AL SEGUENTE INDIRIZZO TROVATE GLI ARTICOLI DEL RIFORMISTA E DELL'UNITA' CITATI
DA FURIO COLOMBO:
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QUESTA E' INVECE L'INTERVISTA A BILL EMMOTT DI GIANCARLO RADICE, TRATTA DAL
CORRIERE DELLA SERA. LA RISPEDISCO IN FORMATO TESTO (DALL'ARCHIVIO DEL CORRIERE)PERCHE'
NON TUTTI I FORUMISTI SONO MUNITI DI SOFTWARE ADATTO A LEGGERE IL FORMATO
.tiff:

Corriere della Sera
12 agosto, 2005

Emmott: non siete credibili e Fazio deve dimettersi
L' «ECONOMIST»
Il direttore del settimanale britannico Economist, Bill Emmott: «Fazio deve
dimettersi, ha danneggiato una delle poche istituzioni rispettate. L' Italia
non è credibile, anche a sinistra». A pagina3

Emmott: non siete credibili. Anche a sinistra
Il direttore dell' «Economist»: Fazio lasci. In copertina maschera tricolore
alla Pulcinella
L' INTERVISTA
« Please go, Mr Fazio ». «Per favore, se ne vada mister Fazio». Non ricorre
alle metafore, l' Economist. Così come nel 2001 aveva giudicato Silvio Berlusconi
«inadatto a governare», oggi il settimanale britannico, specchio degli umori
della comunità finanziaria internazionale, chiede apertamente le dimissioni
di Antonio Fazio dalla guida della Banca d' Italia. Lo fa in un lungo commento
pubblicato sul numero in edicola da oggi, che accompagna un' inchiesta altrettanto
tagliente sulla battaglia per il controllo di Antonveneta (presentata con
l' immagine di una maschera di Pulcinella in tricolore). « Italy' s banking
scandal », è il titolo. A Fazio viene riconosciuto un ruolo centrale nello
scandalo, tanto che, se il governatore dovesse continuare a resistere, l'
Economist arriva a sollecitare un intervento del presidente Carlo Azeglio
Ciampi. «Il suo comportamento è assolutamente censurabile», spiega Bill Emmott,
il direttore. Perché ne chiedete le dimissioni? «Da un lato, riteniamo che
quello che ha fatto non sia giustificabile sotto il profilo etico - spiega
Emmott - . Dall' altro, ha provocato un danno grave alla reputazione della
Banca d' Italia. E non è una cosa da poco. Bankitalia rappresenta storicamente
una delle istituzioni più rispettate nel Paese e anche al di fuori, fra la
comunità internazionale. Un' autentica eccezione, visto che l' Italia non
allinea molte altre istituzioni che siano considerate con altrettanto rispetto.
Per questo deve andarsene». Quanto grave viene giudicato nella comunità finanziaria
internazionale il «danno» causato alla reputazione di Bankitalia? «Direi
abbastanza. Sotto accusa non è tanto l' atteggiamento "nazionalista" mostrato
dal governatore nel proteggere Antonveneta dall' offerta di Abn Amro, favorendo
le manovre di Popolare di Lodi in concerto con personaggi come Ricucci. Tutto
questo non scandalizza certo i mercati finanziari. Anche altre banche centrali
si comportano esattamente allo stesso modo. Ma qui il problema è che siamo
di fronte a comportamenti potenzialmente illegali, ad appoggi dati a istituti
in odore di bancarotta». Si riferisce alla Popolare italiana, l' ex Lodi?
«Da quello che risulta nella nostra inchiesta, i conti della Lodi erano peggiori
di quanto dichiarato. In base agli attuali standard internazionali avrebbe
dovuto dichiarare bancarotta già a fine dell' anno scorso». Quello che sta
emergendo dagli affari Lodi-Antonveneta e Unipol-Bnl è l' intreccio fra politica,
partiti di destra come di sinistra, e il mondo degli affari. Un ritorno al
passato? «L' Economist è sempre stato critico verso il premier Silvio Berlusconi
per molte ragioni, fra cui soprattutto questa: la stretta relazione fra attività
di governo e affari. Berlusconi sostiene di rappresentare il futuro dell'
Italia, per noi rappresenta invece il passato. Il suo governo ha riportato
indietro il Paese, ha riproposto quei legami malsani fra politica e business.
Non sorprende che la sua figura appaia nella vicenda legata a personaggi
come Ricucci e compagnia». Nelle operazioni attorno ad Antonveneta come a
Bnl, emerge anche il ruolo di certe grandi banche straniere, da Deutsche
a Crédit Suisse. Come lo giudica? «E' anche questo uno dei punti centrali
della nostra inchiesta. Non arrivo a dire che abbiano violato la legge, ma
sicuramente hanno approfittato, ovviamente a proprio vantaggio, delle attività
di personaggi che si sono mossi alle soglie della legalità, se non oltre».
Pochi giorni fa Standard & Poor' s ha rivisto da stabile a negativo l' «outlook»
per l' Italia. Alla base della decisione c' è l' incertezza sulle prospettive
politiche del Paese, dettata dalle profonde divisioni all' interno sia della
coalizione di centro-destra sia di centro-sinistra. E' d' accordo? «Senza
dubbio. In particolare, non sappiamo ancora cosa vuole fare il centro-sinistra
se dovesse andare al governo. L' unica certezza è che vogliono sostituire
il governo Berlusconi. Devo però aggiungere che, in base alla mia esperienza,
le divisioni all' interno di una coalizione appaiono sempre profonde prima
delle elezioni, ma poi si attenuano una volta al governo». Le feroci critiche
rivolte a Berlusconi vi hanno fatto apparire qui in Italia come un giornale
più vicino al centro-sinistra. Quasi un paradosso, visto che l' «Economist»
si atteggia a bandiera del liberismo economico. La sinistra italiana è davvero
più «liberale» della destra? «Sgombriamo il campo dagli equivoci. l' Economist
è un giornale liberale. Consideriamo il governo italiano di centro-destra
alla stregua di un tradimento delle idee liberali». Sì, ma il centro-sinistra?
«Non so quanto meriti la patente di liberale. Di certo Romano Prodi lo è,
almeno in buona parte. Il suo problema è semmai un altro. Non lo consideriamo
un leader efficace. Non credo che sia in grado di imporre la propria leadership
alla coalizione di centro-sinistra». Crede che il difficile momento politico
ed economico che attraversa l' Italia possa diventare un problema per l'
Europa? «Il danno più grave sarebbe se fosse messa in discussione l' adesione
all' euro. Ma non credo che si arrivi a quel punto». «Non credo che sia da
prendere molto sul serio». Bill Emmott In edicola Quella lente del settimanale
sul Bel Paese L' Economist oggi in edicola pubblica un rapporto speciale
sui recenti scandali bancari. Il 26 aprile 2001, alla vigilia delle elezioni,
il settimanale titolava «Perché Berlusconi è inadatto per guidare l' Italia».
Da allora ha pubblicato diverse inchieste sulle vicende politiche e finanziarie
del nostro Paese a partire dal conflitto di interessi del Cavaliere fino
agli scandali finanziari Cirio e Parmalat.
Radice Giancarlo

INES TABUSSO