*Un corteo di consacrati giunge in Cattedrale a passo lento, guidati dalla sacerdotessa vestita completamente di nero, tabarro con l’effige del Drago, spada nel fodero. Avanza con sguardo freddo e assente, non guardando nessuno, ma solo davanti a sé. Le campane della Cattedrale squarciano ritmicamente il silenzio di questa giornata soleggiata con i loro rintocchi. Il corteo sale le scale e, con la sacerdotessa, si ferma davanti al portone. Quest’ultima alza lo sguardo, squadrando l’entrata nel luogo sacro. Dopo qualche secondo, ritorna a guardare fisso davanti a sé ed entra. La Cattedrale è fredda, ma l’Altare principale è illuminato dalla forte luce del sole. Avanzano con solennità verso l’Altare, superando le panche dove sono stati posti dei fiori arancioni e delle candele, fermandosi lì. L’urna nera con la volpe arancione viene poggiata sull’Altare e i consacrati si dispongono in piedi davanti ad essa, mentre la sacerdotessa vi sta dietro. Guarda l'urna con sguardo incredulo per qualche minuto, raccoglie le forze e con voce spezzata comincia la funzione, guardando gli astanti*
Il giorno che speravo non arrivasse mai è giunto. Non c’è bisogno che io vi dica perché siamo qui riuniti: i nostri volti parlano da soli, quest'urna parla da sola. Parla alle mie orecchie tentando di dirmi quelle cose che non sono state dette e tace insistentemente, assordantemente ai miei occhi.
E adesso cosa dovrei dirvi? Dovrei dirvi che l’Alto Comandante era un uomo valoroso, che ci ha lasciati per difendere tutti voi, che in vita egli ha onorato il Sacro Ordine e la sua amata Dea? Le sue azioni hanno parlato per lui, non posso farlo io. Non posso dire, tentando di convincervi, che l’Alto Comandante ha lottato sin dal primo giorno in queste terre per tutti noi; che ha consacrato la sua vita alla giustizia, alla verità, alla pace; che le sue scelte sono sempre state guidate da un profondo sentimento d’amore per il prossimo e di voglia di salvarlo. Non posso dirlo, perché lui in vita lo ha urlato. Lo ha urlato combattendo, mettendosi in prima linea quando non c’era nessuno, lanciandosi senza paura contro i nemici, ragionando sui problemi e avanzando soluzioni, prendendo quelle posizioni che nessuno accettava e, in verità, nessuno capiva fino in fondo.
*fa una pausa*
Ma io...io l’ho sempre capito. Sono sempre stata lì, la sera, quando si torturava la mente pensando ad ogni possibile modo d’agire, ad ogni pro e contro. Ero lì, accanto a lui, nelle notti insonni, vegliate al lume del tormento. Non capirete mai quanto grande fosse e non lo capirete ascoltandomi, perché le parole non rendono mai giustizia. E adesso io sono qui, in piedi davanti a lui, parlandone come se non ci fosse, perché davvero, non c’è, ma io non riesco ad accettarlo. È per questo che non parlerò più di te come se non ci fossi, ma ti parlerò come se fossi accanto a me, come sento che sia.
*guarda con espressione impenetrabile l’urna*
Renouard, cosa ne possono sapere gli altri di te? Mi dicono che gli dispiace per la mia perdita, ma cosa ne sanno di cosa ho perso? Non riesco nemmeno a spiegarlo. Ieri mi hai detto che, nel caso peggiore, avrei saputo cosa fare. Ma io…io non so cosa fare. Mi sento un puntino disperso nell’immensità del Creato. Ho come l’impressione di essere finita in un altro piano, distaccata da tutti, perché non sento le loro parole, non sento le loro parole di cordoglio. Adesso sono sola. Te ne sei andato anche tu, portandoti via metà nella mia anima. Ci hai lasciati soli. Ti abbiamo aspettato insieme tutta la notte, impazienti di sentire la tua voce. Ci manca sai? Vorrei che adesso aprissi gli occhi e ci parlassi, che ci dicessi che va tutto bene e che non è reale tutto ciò che sta succedendo. Vorrei che mi sorridessi perché mi sento morire all’idea che non vedrò quel sorriso per il resto dei miei giorni.
*La sua espressione è impassibile, assente, ma delle lacrime cominciano a rigarle il volto*
I nostri segreti, la nostra complicità, il nostro finire le frasi dell’altro o il nostro dire le stesse cose nello stesso momento. Eravamo una cosa unica, un solo essere diviso dalla Natura in due corpi. Mio sposo, mio compagno di vita…tu mi hai salvata, anche se non lo sai. Mi hai teso la mano nella selva che mi opprimeva e in cui mi ero persa. Sei riuscito a placare il dolore che mi distruggeva per la scomparsa della mia Maestra e in punta di piedi hai preso il suo posto, così silenziosamente che non me ne sono accorta, così naturalmente che mi è sembrato che fossi stato lì da sempre. Adesso, il nostro filo rosso è teso, perché non voglio lasciarti andare. Sento che lo stai tirando, che mi stai spingendo a dirti addio, ma non sono pronta a farlo. Dal momento che la divina mano di Anaitie ti ha aperto la Porta, mi ha tolto tutto. Tutto.
*Tocca la pancia con una mano, mentre con l’altra tocca l’urna e guarda l'anello nuziale*
Volevi vederlo nascere, ma non ce l’hai fatta. E tu non sarai accanto a me quando succederà, adesso ho paura. Dovrò essere da sola a proteggerlo, a crescerlo. Avrà il tuo sorriso? O la tua intelligenza? I tuoi occhi? Vorrei che avesse tutto di te, ogni sfumatura del tuo essere. Ho immaginato tutte le notti la tua espressione nel momento in cui l’avresti visto la prima volta, nel momento in cui ti avrebbe stretto il dito con le piccole mani. Rimarrà solo immaginazione, solo un sogno che ogni tanto la notte verrà a svegliarmi. Ma la cosa peggiore sarà il rumore della nostra casa…tutto mi urlerà contro la tua assenza, dai tuoi libri al tuo posto a tavola.
Oggi che t'aspettavo non sei venuto. E la tua assenza so quel che mi dice, la tua assenza che tumultuava, nel vuoto che hai lasciato, come una stella. Quale un estivo temporale s'annuncia e poi s'allontana, così ti sei negato alla mia sete. Silenziosamente ci siamo intesi.
*Rimane fissa a guardare l'urna, in silenzio. Dopo qualche minuto di copiose e silenziose lacrime, le asciuga e si alza in piedi, guardando freddamente gli astanti*
Adesso lascio la parola a chiunque abbia qualcosa da dirgli.
*si mette un po’ in disparte, non allontanandosi dall'urna*