Quel giorno vidi il sole sorgere ad oriente, dalle mura di Delta delle Acque la visione delle terre dei fiumi era magnifica; boschi fin dove occhio poteva vedere.
Stetti li per un po’ di tempo, la tunica era ormai lercia, sentiva anche lei la pesantezza dei lunghi giorni di marcia che avevano preceduto la marcia. Per lunghe settimane avevamo marciato risalendo la strada che costeggiava il mare d’occidente. Avevamo marciato sull’altopiano e poi eravamo arrivati nelle terre montuose della Danna Dorata e da li a Delta.
Quando scesi dalle mura il sole aveva appena iniziato il suo viaggio verso il cielo.
Mi diressi verso l’accampamento dove i miei ufficiali avevano iniziato a far preparare la truppa alla marcia; i fanti erano quasi pronti, mentre i picchieri erano indaffarati a vestire le loro corazze.
Il grigio dell’acciaio dominava nel campo, grigie le corazze, grigi gli uomini e grigie le armi, le uniche cose dorate erano le bandiere che ben presto si sarebbero innalzate sulle terre dei fiumi.
Entrai nella mia tenda.
Li mi aspettava la mia armatura, le mie armi e il mio scudo. Aprii una cassa in mogano, tirai fuori la tunica di cuoio, me la infilai e strinsi uno ad uno il lacci. Tirai fuori la cotta di maglia e con l’aiuto di un ragazzino, chiuse tutti i lacci e uscii in silenzio.
Prepararmi per la battaglia era diventato un rituale, un silenzioso rituale di raccoglimento e di meditazione. I pensieri volavano ai grandi luoghi in cui avevo combattuto, volavano ai teschi dorati dei comandanti morti, al fatto che ben presto anche il mio si sarebbe aggiunto a quelli.
La mia armatura mi stava aspettando, un richiamo silenzioso, un rischiamo seducente, quasi ipnotico che diceva, ”sono qui, vieni a me, tu mi appartieni”.
Presi le protezioni per le gambe e le cosce, strinsi i lacci e chiusi le fibbie, presi uno stiletto e lo nascosi nello stivale. Quante volte mi aveva salvato la vita quella lama nascosta? Non saprei dirlo, ma più di una di sicuro.
Presi la placca toracica e la calai dalla testa, quella era nuova, l’avevo fatta forgiare nelle grandi fucine di Pentos, sul petto erano incisi i tre teschi simbolo della compagnia, nessun altro ornamento andava a rovinare quello splendido metallo. Erano ben pochi i graffi, perché ben pochi erano mai riusciti a colpirmi. I lacci sui fianchi gli strinsi con qualche difficoltà e coprii la giuntura con delle lamine leggere di metallo.
Seguirono le protezioni per le braccia, ebbi bisogno di aiuto per indossarle.
Quando finii entrò un ufficiale Tully che mi disse che con noi sarebbero venuti trentamila uomini dei signori dei fiumi.
Decisi che quell’armatura era inutile e in pochissimo tempo me la tolsi.
Indossai una più leggera armatura di lamine d’acciaio invece dell’armatura a piastre pesanti.
Presi la mia spada, non l’avevo mai cambiata, ma era stata riforaggiata ben due volte, ma l’elsa portava sempre la medesima scritta: io sono qui che ti attendo. Un monito di una vecchia amica, di cui un tempo avevo paura, ma ora avevo imparato a rispettare, e che un giorno avrei incontrato.
Legai la spada alla schiena assieme ad una frusta di morbido cuoio. Da giovane non avrei mai creduto che un semplice pezzo di cuoio avrebbe potuto essere così letale.
L’elmo aveva le fattezze di un teschio, quale fantasia, copriva la nuca e le guance con una protezione per il naso, ma aveva grande visibilità.
Uscii dalla tenda e diedi l’ordine di smontare l’intero accampamento e così verso metà mattina fummo in grado di muoverci.
Montai a cavallo e diedi l’ordine di far suonare il corno e di disporsi in formazione da battaglia.
La compagnia si mosse, il passo pesante faceva cozzare acciaio contro acciaio, la formazione serrata ci rendeva simili ad un gigantesco serpente metallico. Le bandiere sventolavano davanti ad ogni compagnia, le tre colonne erano in perfetta sincronia tra loro e gli scout arrivavano a me riferendomi sempre la stessa storia, nessuna attività ostile.
Arrivammo a meno di mezza giornata di marcia da Lord Hoarrow’s Town quando diedi l’ordine di far suonare i tamburi.
I tamburi avrebbero scandito il dispiegamento delle truppe.
I cupi tamburi riempivano l’aria di una musica di morte, ad essi si aggiunsero le argentee trombe degli araldi di casa Tully.
I due eserciti avevano viaggiato separati, ci eravamo messi a protezione del fianco destro della colonna Tully ben più numerosa ma meno ordinata nella marcia.
Il suono dei tamburi accelerò sempre più fino ad arrestarsi bruscamente quando le truppe furono dispiegate.
In prima linea lo scorpione era pronto ad facilitare l’ingresso delle truppe nella piccola cittadina.
Le porte vennero sfondate da un ariete raffazzonato al momento.
Il corno risuonò e gli uomini si lanciarono verso il portale, un unico grido si levò al cielo, un unico grido formato da migliaia di voci: “Morte al nemico”.
Le urla andarono scemando man mano che gli uomini entravano.
Con il mio cavallo puntai il portale e lo passai al galoppo seguito dalla mia guardia personale.
Lo stupore mi attanagliò, nessun soldato era presente, solo occhi che mi seguivano dalle finestre delle case, solo occhi che mi seguivano da nascondigli improvvisati.
Donne, bambini e vecchi erano talmente impauriti che non avevano nemmeno le forze di scappare.
Vidi alcuni uomini che sfondavano le porte delle case e trascinavano fuori i popolani terrorizzati; alcune donne ormai si erano rassegnate all’idea di essere stuprate, altre ancora combattevano.
Feci suonare il corno per segnare la vittoria. Un possente e lungo soffio avrebbe richiamato gli uomini all’ordine, nessuno avrebbe fatto nulla senza ordini.
Mi avventurai con la mia guardia verso il centro della cittadina, e li trovai circa duecento popolani che imbracciavano le armi sotto uno stendardo Arryn.
Speronammo i nostri cavalli e caricammo contro quei soldati improvvisati, e le lame di spade, mazze, martelli, lance e arakh.
Di quei poveri soldati improvvisati alla fine della carica non ne rimase nemmeno uno in vita.
Mi sarei aspettato un’imponente esercito nemico a difesa di un guado così importante, ma oltre a quei pochi soldati non vi era nessun altro.
Senza che nessun ordine fosse impartito la bandiera della compagnia venne issata sul torrione del castello e sulle mura, affianco ad essa e più in alto venne issata la trota argentea dei signori dei fiumi.
La sera stava calando quando la pira iniziò a bruciare, nessun caduto per la compagnia, il che era un bene, ma non era l’inizio che speravo.
Ero perso a guardare le fiamme della pira quando Caspor venne a chiamarmi; disse che aveva delle cose urgenti di cui parlare.
Entrammo nella locanda che avevamo adibito a quartier generale, ci sedemmo ad un tavolo e iniziammo a discutere:
“Siamo stati fortunati signore, nelle segrete di questo buco di castello abbiamo trovato un sacco di materiale bellico come cotte di maglia, olii per lucidare le armature, coti per affilare le lame e una montagna di cibo per sfamare l’armata”
Era una buona notizia, almeno questo mese ci saremmo risparmiati un ingente esporsi di oro.
“Questa è un’ottima notizia amico mio” non avevo fatto molto quel giorno, ma l’aria che si respirava era pesante, densa, il fumo riempiva l’aria e la rendeva acre, e tutte queste cose mi rendevano più stanco del solito.
“Inoltre alcuni scout mi hanno riferito che una piccola compagnia di ventura, o almeno loro si fanno chiamare così è accampata a meno di mezza giornata di cavallo da qui. Direi che sarebbe il caso di far loro una visita. Sono circa duemila uomini tra fanti arcieri e cavalleggeri, li guida un guitto che si fa chiamare il figlio del guerriero. Lui è sicuramente un guitto, ma gli uomini che sono con lui sembrano a posto, potremmo persuaderli che è meglio che si uniscano a noi se vogliono continuare a vedere il mondo”
“Potremmo andare a trovarli, domattina prima dell’alba ci muoviamo con l’intera cavalleria e li accerchiamo, così saremo più persuasivi” L’idea di far entrare altri uomini nella compagnia era sempre ben accetta, soprattutto se erano già addestrati alle armi.
La discussone finì li, uscii dal locale in cerca di una bella donna volenterosa di scaldarmi il letto per quella notte.
Prima dell’alba vennero a svegliarmi, mi vestii e prima di uscire lascia una moneta d’oro alla ragazza che dormiva ancora nuda nel letto della locanda. Un dragone ben meritato.
Montai a cavallo e con il corpo di cavalleria mi diressi verso l’accampamento di questi sedicenti mercenari.
Quando arrivammo li trovammo ancora mezzi addormentati e incapaci di realizzare cosa stesse realmente accadendo. Alcuni se ne vennero fuori con esclamazioni del tipo “Finalmente un cavalieri che si uniscono a noi” altri con “Bene bene, altri sbarbatelli che si uniscono a noi”. Quando videro le bandiere dorate e i teschi che le adornavano capirono e andarono a svegliare il capitano.
“Cosa volete stupidi inetti, stavo dormendo beatamente” il sedicente figlio del guerriero era un ex fabbro, le braccia en muscolose, le spalle ampie ed era molto più alto di me.
“Sei tu che chiamano il figlio del guerriero?” posi la domanda quasi annoiato, non era la prima volta che dovevo persuadere qualcuno a combattere per me.
“Chi è al comando qui? Non sarai tu piccoletto?” era evidente che si stava infuriando.
“Sono io al comando si, parla con me. Ascoltami, e potresti trarne beneficio”
“Se vuoi unirti alla gloriosa compagnia dei figli del guerriero se ben accetto, se hai conio per pagare i nostri servigi sei ben accetto, altrimenti vattene prima che decida di ammazzarti.” Ora era visibilmente arrabbiato. Il viso si era fatto livido, le vene sul collo si vedevano pulsare distintamente ed il tono di voce era alterato.
“Non diciamo cagate, fatti da parte. La storia andrà così: tu ora torni nella fucina da cui sei saltato fuori, e li ci resti per il resto della tua miserabile vita, i tuoi uomini vengono via con me e sono loro ad unirsi a me e non il contrario. Ti suona bene?” Ora io ero veramente annoiato, mai nessuno che abbia il buon senso di tornarsene a casa con la testa attaccata al collo. Sarà stato anche un capitano ma era l’unico che ancora non aveva capito chi eravamo.
“Ascolta nanerottolo, ora stai esagerando.” Finì la frase e sguainò una vecchia spada arrugginita. Calò un fendente dall’alto, lo schivai con facilità. Probabilmente avrà pensato che avrei usato la spada che mi pendeva dal fianco, e vista la sua statura sarebbe stato semplice ammazzarmi.
Sfortunatamente per lui avevo la frusta legata alla schiena e con un rapido gesto guizzò nell’aria schioccando.
Indietreggiò sorpreso, non si aspettava una frusta.
Continuai a farla schioccare, ora vicino all’orecchio desto ora più lontano dal suo corpo, non capiva da dove arrivava, non sapeva prevedere da dove sarebbe arrivata la prossima sferzata.
La prima sferzata diretta che gli tirai lacerò completamente il giustacuore che indossava lasciandolo a torso nudo. Aveva preso a indietreggiare cercando di raggiungere una lancia o un’arma lunga. La seconda gli arrivo al braccio della spada facendogliela cadere. Poi mi misi a giocare con lui, lo feci saltellare di qua e di la facendo schioccare la frusta prima vicino e poi lontano, da destra e da sinistra. Era ormai terrorizzato dal fatto di non sapere come affrontare un’arma come quella che avevo in mano.
Continuai a giocarci fin quando una frustata gli arrivò in pieno petto e glielo lacerò strappando anche piccoli pezzetti di carne.
Mi stufai e l’ultima frustata andò ad arrotolarsi attorno alla sua gola, strattonai per farlo cadere in ginocchio, strattonai per stringere la presa, strattonai fino a far diventare la faccia prima rossa poi viola e poi finché non spirò.
Morto quel guitto Caspor parlò agli uomini che si erano ormai radunati tutti li intorno.
Entro metà mattina gli ebbe convinti tutti ad unirsi a me.
Si unirono tutti meno che gli ex ufficiali che feci impiccare ad un albero. Non mi era mai piaciuta l’idea di avere ex ufficiali nella bassa truppa. Creavano sempre problemi.
Tornammo all’accampamento, feci firmare loro il libro mastro e vennero inseriti nei reparti in base alle loro capacità. Tutti erano stati armati con l’acciaio della compagnia. E come ad ogni soldato che si univa a noi erano state ripetute le conseguenze di un qualsiasi tradimento. Sarebbero morti per mano della compagnia, e sarebbero morti male.
Prima di mezzo giorno ci mettemmo in marcia, non era un luogo sicuro dove stare. In marcia verso nuove battaglie.
BRYNDE TULLY - THE BLACK FISH
Protettore della marca meridionale, castellano di Delta delle Acque
NEL GIOCO DEL TRONO:
Ex Victarion Greyjoy comandante della flotta di ferro, Lord di Tharth, ammiraglio della flotta del Nord
Styr, Maknar dei Thenn, Signore di Promontorio dei Thenn, un uomo nato libero, morto con dignità e ora governa il promontorio dall'alto del cielo azzurro
Lord Myles Toyne, erede di Acreacciaio Lord Comandante della Compagnia Dorata