opera di un tifoso del TORO

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+agatina+
00venerdì 26 febbraio 2010 10:10
un capolavoro di letteratura, CLAUDIO
Contra Iaquinta, o del bel calcio e del cattivo

Telecronacami, Musa tosattica,
le gesta incresciose del bufalo
di bianco e di nero bardato,
e ancor l’inspiegabile gloria
e l’onor giammai meritato,
giacché i’ voglio oggi parlare
di quello che niuno s’aspetta;
non da me, che d’uom contro ho fallace
fama. Intendo adunque mostrare
lo Buono, lo Iusto e lo Vero
in ciò che nel Pallon par difettare
appresso a chi el Pallon suol venerare.
Intendo presentare la cagione
poiché si debbe odiar la trista pippa
che d’orso ha le movenze, suino il pie’,
eppur nell’oppenione
pare un’aquila real.

Patrona di sfere, su, spirami:
chi fu a coronare d’alloro
chi arebbe più proprie le rape?
Chi fu a vestire d’azzurro
e a cignere d’oro lo capo
a chi saria equa la paglia
e molto più retto el forcon?
E invece li scettri ei tiene,
e sol par possibile qui.

Ahi maclavellica Italia
per che non conta il com’è et il s’è giusto,
ma bene è il trionfo rubato,
el giubilo infame e meschin.
Stival sanza coscienza, sporco spirto,
la tua peregrina morale
fe’ grande el crucco Oliverio
- che mai toccò palla di pie’ -
e celebra ancor l’inimico
di quella che tèchne è nomata
(per non della classe parlar),
l’Inzago sì goffo e gaglioffo.

Deh, sordo restò el Belpaese
al Sacco, profeta immortal.
Ei certo divide una macchia
col freddo fiammingo Vangallo,
poich’essi non capiro cosa una:
lo schema serve all’uom,
non già l’uomo allo schema.
E non di soli muscoli l’uom vive.
Ma pure è certo el verbo
e delizioso puro
che inascoltato giace,
ma ancor nel petto mio
lo sento rimbombar:
“Vincer non si deve
se convincer non si pote”.

Sì alto documento,
sì nobile e imperial,
potea non ben trovare
né braccia spalancate
né terra a seminar
in chi del giuoco è morte,
in chi del giuoco è mal:
l’italico tifoso,
di lui vo favellando.
Ben strano è costui:
preferirebbe infatti
lo grigio prevalere
della squadra sua del core
che veder dello megliore
lo trionfo reboante.
Tant’è – ch’el cielo me ne scampi -
a chi mi chiede: “Di chi se’?”
i’ rispondo: “Son del giuoco”.

Chi fu, dimando ancora,
allora, o Diva di stadi,
che fe’ di tanta suola
inarrestabil morbo?
Omai peste dilaga
e niuno ferma più.
Tu dici: “Scarso e bue l’è isto Iaquinta!”
e subito ribatte el defensor: “
“Macché, l’è bono assai!”.

Ti riconosco i meriti,
meridional muflone:
l’impegno, la passione,
l’indomito trottar,
financo il forte balzo,
financo lo segnar;
ma per chi come te
fu inviso alli celesti
li più pietosi fero
diverse attività:
v’è la corsa campestre, la miniera
od il cantier.
Oppure v’è del pari
ch’io non staria scrivenno
se tu, calàbro brocco,
giocassi nella Spal.

Io so che per exemplo,
al fin d’edificare,
non solo l’architetto,
ma pure el manovale
è all’uopo parimente.
Ma è altrettanto limpido,
lampante e cristallin
che mal giovano zappe
di membra al limitare
in chi arebbe da essere
lo pungolo e lo strale.
E non si dee confondere
li fanti e i cavalieri.

Natura, la matrigna,
t’ha privo del talento:
la colpa non è tua,
ma quale colpa è mia?
Ohi me lasso, quando sgroppar te veggo,
sì turpe e sanza grazia e sanza dote,
negato con la palla infra li piedi
che pare malferma la sfera,
sovente el rotolante ad inseguir
come fusse leprotto fuggitivo
lo cuoio rotondo e sincer.
Aresti esser negletto
e invece se’ ammirato;
non se’ tu rio,
sed è chi a te s’affida.
Primieramente el Tosco,
vessillo de li patrii somari,
che fe’ del cul stromento
di contro al gran talento
de la genia dei Galli
sì fiera e micidial.

Così or te s’incensa
e ti s’espone al mondo
opposto alli Torresi, alli Runi,
alli Luìs.
E intanto in panca aspetta
l’ermo Rosso, d’ispanica adozione,
e a casa sta el Pugliese
che fe’ Genova magna.
D’altronde lo sapemmo da li tempi
del Codino: l’ingrato Tricolore
non perdona la bravura.

Io non disprezzo te,
segone temerario,
ma questo almen concedi
a me che ti sopporto
e lasciatelo dir:
dacché se’ ben robusto,
va’ pure, scendi in campo,
ma il sia di pumidor
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