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AngelaElisaB
00martedì 18 dicembre 2007 11:40
Un pò vecchio, è di novenbre, nn so se è giò stato segnaleto...


DURAN DURANRed Carpet Massacre(Sony-epic) 2007
pop
di Davide Sechi pluslessUn giorno ti guardi allo specchio e capisci che il tuo tempo è passato. Provi a giustificarti, ma non è storia. Semplicemente bisogna prenderne atto e decidere. Se indossare le pantofole o ancora una volta i calzoni alla moda. Opti per questa seconda opzione, ma ce la metti tutta perché l’operazione di vernissage non venga scambiata per patetico aggrapparsi a un’attualità che non ti appartiene. Dopo tutto, gli amici te lo ricordano sempre: il più è fatto da tempo, si può anche vivere di rendita, mica è vietato.
Cicli e ricicli la stessa pappa, provi ad accontentare quante più persone e vedrai che qualche risultato lo si porta sempre a casa. Un passo di danza qua, un abbraccio romantico là, in più qualche strizzatina d’occhio maliziosa e seducente. Magari ci scappa pure un party, di quelli super-fotografati. Giusto per dire: ehi, c’ero anche io. Ci sono sempre. E invece no. Al party ci vuoi andare, e ci mancherebbe, ma vuoi entrare passeggiando su tappeto rosso. Acclamato, rispettato e in pace con te stesso. Soprattutto se sei da una vita una popstar.

I Duran Duran sono un paio di decenni che queste parole se le raccontano e se le ripassano, per non asservire mente e istinti all’arteriosclerosi che si nasconde dietro angoli apparentemente gratificanti. Così, giusto un paio di anni fa, pare quasi di vederli, tutti stretti attorno al tavolo della cucina di Simon Le Bon mentre aprono la scatola del Risiko e studiano le coordinate del nuovo come back. Magari più orientato alla chitarra? E’ giù insulti, a letto senza cena. Facciamo allora una replica dei vecchi Duran, visto che in giro ci sono un sacco di cloni che raccolgono dollari e applausi a non finire. Si ritrovano il giorno dopo a colazione e prendono a scrivere il materiale.
Sembrano entusiasti. Ma giurerei di aver visto un smorfia sul viso di John. Mal di stomaco? Nick se ne accorge e prova a consolarlo con promesse sottovoce. Andy Taylor origlia e la prende male. Il piccolo di Newcastle ci vede dietro la congiura. Ne ha la certezza quasi matematica quando in studio si presentano Timbaland, Timberlake e forse anche Christina Aguilera. Crede anche di scorgere qualcuno che gli manomette gi amplificatori. Sapete che c’è? Me ne vado. Novello Steve Hackett (acquistato nel 1980 leggendo un annuncio sul Melody Maker, finito fuori dai giochi nel 1986 con tanto di porta sbattuta), il Taylor più basso ha subdorato un cambio di rotta non incline al suo temperamento.
Che si fa? Si opta per un pellegrinaggio direzione Ibiza, dove risiede il nanerottolo e lo si prega in ginocchio di ritornare? Ma non scherziamo. Piuttosto si prova ridisegnare un storia, così, su due piedi, con il rischio che non ci sia lo spazio materiale per aprire il classico paracadute…

And then there were four. Decisi, combattivi e, diciamocelo, liberi dalla zavorra rockettara di Andy. John, Nick e Roger, dal 1979 con quel chiodo fisso: punk e Chic, art e disco-funk, Studio 54 e bionde da sballo. Una filosofia di vita che deve necessariamente essere lucidata da qualche guru odierno. Eccolo, allora, il sogno proibito Timbaland, innovatore dance hip-hop non refrattario al ritornello pop. Un po’ il Nile Rodgers dei nostri tempi. Ma siccome l’esperienza con la mente disco-funky dei 70-80 era finita a suo tempo in un mezzo fallimento ("Notorious" o della perdita d’identità, nonché delle classifiche), facciamo che questa volta le carte le danno i quattro superstiti, mentre il Timbo controlla giudiziosamente che si giochi corretto. E affinché il lavoro non deragli sotto la spinta del sempiterno ego, ecco l’occhio di falco Danja Hills. Mentre l’astuto Justin continua a sorridere dalle retrovie.

I sapori hip-hop scelti come scusa per tornare nell’ambito club, l’high energy ristrutturato, consci che le radici del moderno r’n’b debbano non poco all’electro-synth di moroderiana memoria. Un po’ come chiudere un cerchio. Timberlake-Timbaland come raffigurazione del 21esimo secolo di Jackson-Jones. Ma se "Future Sex" appare come un progetto, quand’anche prezioso, plastico, essenzialmente legato alla contemporaneità, privo di radici, l’inedita commistione duraniana unisce idealmente e praticamente le due ere. Un crossover pop che si abbevera alla sorgente bianca, il ritmo spogliato del soul, rivestito per l’occasione, luccicante ma mai esagerato. Piuttosto scarno, a volte fino all’osso, con la voce lasciata in primo piano, agile, nuda, con l’unica coperta rappresentata da uno sfondo che fa il filo a essenziali sapori techno, ma senza rinunciare al classico abbecedario pop.

"Red Carpet Massacre", che fustiga ironicamente la futile vita della starlette media, si muove su coordinate produttive che spingono verso un mix magmatico ma lucido, una colata di lava fredda dove il basso sembra una linea synth, la batteria è filtrata e passa vorticosamente da un suono che ricorda il rumore di scatole di latta alla percussione ovattata, atmosferica. Dominano le tastiere rhodesiane e rendono i ritmi incalzanti anche quando il singolo brano non spingerebbe per forza di cose al dancefloor. Non si rinuncia alla ballata popolare che serve quasi a far decantare l’entusiasmo e a proporne uno nuovo, riempiendo l’ambiente di effetti, eleganti, suggestivi, notturni.
Si era vociferato di una svolta piaciona (quando mai i Duran hanno provato a inimicarsi le masse?), ma paradossalmente la nuova release mostra i quattro procedere senza freni, disarmati dell’antico cerchiobottismo, quell’equilibrio pregiato ma spesso deriso che rende commestibile il pop. Stavolta si rischia, sempre con la calcolatrice in mano, provando a far quadrare i conti con un singolo buonista, simpatico riempitivo (la tenue e prevedibile "Falling Down"). E’ l’unica concessione.

I Duran non sono ventenni assetati alla Timberlake e neanche matusa adorati come i Rolling-U2. Se ne sono accorti da un bel pezzo. Sono i baluardi, forse i definitivi, della musica artificiale fatta artigianalmente. E allora nelle sabbie mobili ci si gettano senza ritegno. O la va o la spacca. Dodici pezzi dodici, mascherati ma duraniani fino al midollo, new romantic europeista sfregiato con dolcezza ed equilibrio dai rumori della nuova metropoli. E' come se John e Nick fossero tornati nella loro cameretta addobbata di poster: ci sono i Buggles più cartoon che mai ("Tricked Out", "Zoom In"), gli Ultravox (l’incipit della conclusiva "Last Man Standing", con il moog che fa romanticamente capolino), il Bowie electro-white-soul ("Dirty Great Monster" con sax malato e perforante), l’euro-disco aggiornata ("Skin Divers", "Tempted", il break sonnambulo che arricchisce "Nite-Runner"), ci sono i retaggi semi-acustici di "Rio" ("Box Full O’Honey", "She‘s Too Much") e la foga di "Careless Memories" ("Red Carpet Massacre"), c’è la vecchia scuola art-pop dance che si fa epica e cavalcante (l’opening "The Valley" con solo di basso slap stordente).

Ci sono i Duran, insomma, con tutto il loro bagaglio di ricordi, ma senza nostalgia. A bordo di un suono finalmente coeso, tendente allo scuro, che colora un songwriting lineare. Senza darsi per vinti neanche di fronte alla rimostranze degli aficionados, fedele legione, sempre più risicata, fisiologicamente invecchiata e quindi conservatrice. Ebbene sì, oggi è possibile incontrare al bar il 40enne affezionato duraniano intento a ragionare come i detrattori di un tempo, alla ricerca della performance strumentale "vera", di una misteriosa idea di interpretazione adulta, di un qualcosa che finalmente rassicuri sulle scelte fatte e troppe volte spernacchiate, che provochi l’agognata accettazione dei propri eroi tra i classici di ogni tempo.
E invece no: i Duran erano, sono e saranno sempre un progetto scomodo, vecchio di 25 anni, ma sempre alla ricerca dell’eterna giovinezza, nello sprezzante rifiuto di apparire caricaturale. Un modo elegante per evitare l’applauso serioso ma geriatrico. Per non precipitare nel mare magnum del revival. Per sentirsi vivi e, segretamente, invidiati.

(27/11/2007)
http://www.ondarock.it/recensioni/2007_duranduran.htm

vertigoblu
00martedì 18 dicembre 2007 14:06
articolo da incorniciare direi.... [SM=g8204]
AngelaElisaB
00martedì 18 dicembre 2007 14:55
Re:
vertigoblu, 18/12/2007 14.06:

articolo da incorniciare direi.... [SM=g8204]



Già! finalmente qualcuno che dice la verità! [SM=g8149]


duranforever
00martedì 18 dicembre 2007 17:24


questo si ke è parlare!!!!!!!!!!!!!!! [SM=g8149] [SM=g8149] [SM=g8149]
per poko non mi sono commossa,semplicemente divino!!!!!!!!!!!!! [SM=g8204]
io me lo stampo [SM=g8127]
AngelaElisaB
00martedì 18 dicembre 2007 18:01
Re:
duranforever, 18/12/2007 17.24:



questo si ke è parlare!!!!!!!!!!!!!!! [SM=g8149] [SM=g8149] [SM=g8149]
per poko non mi sono commossa,semplicemente divino!!!!!!!!!!!!! [SM=g8204]
io me lo stampo [SM=g8127]




Si!da stampare... bellissimo articolo!!!!!
Romy Le Bon
00martedì 18 dicembre 2007 18:33
Finalmente...era ora.... [SM=g8149] [SM=g8149] [SM=g8149]
AngelaElisaB
00martedì 18 dicembre 2007 19:26
Re:
Romy Le Bon, 18/12/2007 18.33:

Finalmente...era ora.... [SM=g8149] [SM=g8149] [SM=g8149]




già!
bel finale.....i Duran Duran sono vivi e segretemente invidiati... [SM=g8149] [SM=g8149] [SM=g8149] [SM=g8149] [SM=g8149]
Arcadia74
00martedì 18 dicembre 2007 23:02
kavoletti quest uomo è un poeta.... [SM=g8149] [SM=g8149] [SM=g8149]
DDAndy
00mercoledì 19 dicembre 2007 14:01
Bell'articolo, che dimostra documentazione, inserisce l'album nella storia della band, frutto della ragione (e del sentimento), meditata, sentita. Concordo sui riferimenti a Ultravox, Bowie, ecc...

Complimenti!!!

DDAndy
Alek Rilen
00mercoledì 19 dicembre 2007 14:36
In mezzo a tanti giornalai, finalmente, un giornalista [SM=g8149]
kikka le bon 92
00mercoledì 2 gennaio 2008 11:53
Dove risiede questo??Vado a sposarmelo!!Hihihihihi

(Scherzo chiaramente,tanto sposerò Simon ;) [SM=g8139]

A parte gli scherzi,queste sì che sono parole ragazzi..Finalmente uno dei pochi che capisce.. [SM=g8149]
Syddhartha01
00venerdì 4 gennaio 2008 16:13
NON CI POSSO CREDERE [SM=g8185] !!! Era ora finalmente che qualcunio capisse la reale grandezza dei nostri!!! complimenti!!! [SM=g8149] [SM=g8149] [SM=g8149]
TheWildBoy92
00domenica 6 gennaio 2008 21:41
Duran Duran - Red Carpet Massacre (Epic SonyBMG)
di Massimo Giuliano
Non c'è che dire: il nuovo album dei Duran Duran è un lavoro molto coraggioso, sicuramente non il disco che ci si poteva aspettare dopo "Astronaut". Non tutte le ciambelle riescono col buco, ma va preso atto di questa scelta da parte della band.
Non c'è che dire: il nuovo album dei Duran Duran è un lavoro molto coraggioso, sicuramente non il disco che ci si poteva aspettare dopo "Astronaut". Non tutte le ciambelle riescono col buco, ma va preso atto di questa scelta da parte della band.

In "Red Carpet Massacre", Simon Le Bon e soci reinventano il proprio stile servendosi anche della produzione di un personaggio molto quotato quale Timbaland, che mette il proprio zampino in "Skin Divers", "Nite Runner" e "Falling Down". In queste due ultime tracce, figura come producer anche Justin Timberlake, grande fan dei Duran Duran che ha persino cofirmato "Falling Down", singolo di lancio del cd. Il risultato? Chi era rimasto a brani come "Sunrise" e "What happens tomorrow" deve resettare il proprio cervello e prepararsi ad ascoltare altre cose. Belle o brutte? Chissà. "Red Carpet Massacre" ci presenta una band proiettata verso il futuro, con una forte base elettronica, e tra l'altro "traumatizzata" dall'uscita a sorpresa del chitarrista Andy Taylor. E' durata ben poco la reunion della formazione originale, avvenuta appena tre anni fa: ora i Duran Duran sono un quartetto, con tutti i Taylor all'appello tranne appunto il bizzoso Andy.

Chissà com'era "Reportage", il disco che i Duran avevano completato - senza apporti esterni - a metà del 2006 e che hanno buttato alle ortiche perchè non soddisfatti del risultato finale. Ci piacerebbe saperlo, perché ora siamo qui a discorrere di "Red Carpet Massacre", dove in realtà sono pochi i brani davvero degni di menzione: diciamo che svettano gli episodi in cui le moderne sonorità electro-dance sembrano meno invasive, come in "Box full o' honey" e "Last man standing". Se proprio vogliamo essere magnanimi, possiamo tirare dentro anche "She's too much" e "Dirty great monster", ma nulla di più. O questo cd è avanti di dieci anni, o è un esperimento fallito. La stessa "Falling Down" dà l'impressione di non riuscire mai a decollare, conferendosi da sola un senso di incompiuta e risultando, a lungo andare, anche leggermente monotona. Ma è sicuramente una delle canzoni migliori, in un album decisamente strano, che parte da un "massacro sul tappeto rosso" e dimostra - almeno questo - che nel bene e nel male i re del trendy sono sempre loro: Simon, Nick, Roger e John.


Non so se l'avevate gia letto..notate che parla di un album che forse sta 10 anni avanti???può essere un ipotesi..
AngelaElisaB
00lunedì 7 gennaio 2008 17:28
è avanti, avanti! i Duran Duran sono sempre avanti!ehehe
AngelaElisaB
00venerdì 11 gennaio 2008 16:27
Altro articolo.....
Duran Duran

Red Carpet Massacre

2007
RCA

Francesco Donadio

Da un lato c’è proprio di che stimarli, i Duran Duran, per questo loro azzardo di ricorrere a due pesi massimi della produzione pop come Justin Timberlake e Timbaland con il rischio di stravolgere completamente il loro caratteristico sound. E sì che di rivoluzioni Simon Le Bon & Co. parevano non averne affatto bisogno, dato che “Astronaut” (2004), il loro primo disco post-reunion, era andato alquanto bene, egualmente apprezzato dai seguaci e – udite udite! – anche da parte della critica, dopo decenni di ingiurie spesso (ma non sempre) prive di fondamento.
Massì, hanno fatto bene, i Duran, testardi nel volersi considerare un gruppo contemporaneo e non uno dei tanti innocui revival acts degli ’80 che hanno rifatto capoccella dopo lustri di silenzio. Insomma: a volersi “bowianamente” proiettare verso un futuro che è ancora tutto da scrivere, con tutte le incognite del caso.
Era comunque nella logica delle cose che un nuovo album, alla luce della (ri)fuoriuscita del chitarrista Andy Taylor, sarebbe stato meno “guitar-oriented”. Quello che non era prevedibile era quanto Justin e Timba avrebbero spedito i Duran in direzione della pista da ballo. A giudicare da “Red Carpet Massacre”, davvero tanto, a tratti davvero troppo. E quello che ci troviamo di fronte è un vero schiacciasassi dance-pop ultra slick e stra-tecnologico, aggressivo e ambizioso, che aspira a competere più con Jay-Z e Rihanna che con i New Order e gli U2.
Come “Astronaut” riprendeva le fila del discorso dall’epoca di “Rio” (1982) e “Seven And The Ragged Tiger” (1983), “Red Carpet Massacre” si riallaccia nelle intenzioni al sottovalutato “Notorious” (1986) che – prodotto da Nile Rodgers – fu un po’ il “Let’s Dance” della band di Birmingham, e al successivo inferiore “Big Thing” (1988), dalle chiare influenze house e hip-hop.
Poi però (come prevedibile) la presenza in cabina di regia di Timberlake & Tiimberland è molto meno discreta di quella di Nile Rodgers, con il risultato che spesso si ha l’impressione di ascoltare un disco di Simon Le Bon solista, dato che in brani come ad es. “Valley” e “Skin Divers” di duraniano resta ben poco, a parte l’inconfondibile voce del cantante.
Ma non è detto che sia un male, perché il sound è davvero bello e – piaccia o meno – “moderno”, enfatizzato da un bel drumming “profondo” di provenienza hip-hop e r’n’b. E le canzoni dei Duran paiono ricavarne nuova linfa. Davvero notevole è “Falling Down”, prodotto da Justin Timberlake, in questo caso senza eccesso di innovazioni. “Falling Down” è il classico singolo di punta alla Duran, una glam-ballad alla Roxy Music, di gran classe e di gran lunga migliore del suo predecessore, la nazional-popolare, insopportabile “Sunrise”. E quasi entusiasmante è (per me) la già citata “Skin Divers”, che inizia con reminiscenze del Bowie di “The Man Who Sold The World” per tramutarsi in tutt’altro, ovvero in una torrida dance-track dove Timbaland la fa da padrone, inserendo perfino un suo azzeccatissimo rap.
Come detto, di tipicamente duraniano non c’è molto: oltre a “Falling Down”, la suggestiva “Box Full Of Honey” che è una sorta di nuova “Save A Prayer”, e “She’s Too Much”, un bel synth-funk databile intorno alla metà degli anni ’80. Altrove la presenza di Nick Rhodes, John Taylor e Roger Taylor è quanto mai impalpabile; ma forse proprio per questo brani come “Red Carpet Massacre”, “Valley”, “Tempted” e “Zoom In” sono tra i più appaganti e interessanti del disco, ancora duraniani da punto di vista melodico ma (grazie ai due Timb) sonicamente anni luce avanti rispetto a quanto Le Bon & Co. abbiano mai realizzato in precedenza.
A parte i riempitivi conclusivi “Dirty Great Monster” e “Last Man Standing” e la sconclusionata “Nite Runners” – confuso e sovraprodotto r’n’b e unico episodio a dare fortemente l’impressione che i Duran abbiano fatto un passo più lungo della gamba – il giudizio complessivo è quindi positivo, e certamente migliore rispetto a quell’esercizio di riciclo che era stato “Astronaut”.
E con tutti i loro difetti, i quattro di Birmingham adesso sono davvero i “last men standing”, unici della generazione del cosiddetto 80s Pop ad avere il coraggio di proseguire ostinati, lo sguardo rivolto fieramente in direzione del Futuro. Come canta LeBon nella title-track, “There’s not so many now still standing on their feet”. Ma i Duran ci sono.

http://www.xtm.it/DettaglioMusicAffair.aspx?ID=6431


AngelaElisaB
00giovedì 31 gennaio 2008 23:21
articolo su Max...



http://max.corriere.it/musica/cd/schede/2008/02_febbraio/duranduran.shtml
TheWildBoy92
00venerdì 1 febbraio 2008 15:00
sono d'accordo su tutto quello ke dice l'articolo..tranne quando critica la voce d Simon..il resto per me giusto
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