Breve riepilogo sulla conciliazione obbligatoria fra utenti consumatori e fornitori di servizi di comunicazione
L’utente nei casi in cui non riesca a risolvere il problema insorto nel rapporto con l’operatore di comunicazione elettronica rivolgendosi al customer care, puo' decidere di avviare una vera e propria controversia per tutelare le proprie ragioni.
In questo settore, pero', le procedure per risolvere le controversie sono particolari e sono regolate da una specifica disciplina definita in dettaglio dall’Autorita' (AGCOM – Autorita' Garante per le Comunicazioni). La particolarita' principale consiste nella necessita' di esperire obbligatoriamente un tentativo di conciliazione prima di poter avviare un eventuale processo.
Se poi la conciliazione non si raggiunge, l’utente puo' scegliere se rivolgersi alla Magistratura oppure se chiedere all’Autorita' o ai Co.Re.Com (COmitati REgionali per le COMunicazioni) da essa delegati di definire la controversia.
Il tentativo obbligatorio di conciliazione fra utenti consumatori e fornitori di servizi di comunicazione
Il tentativo di conciliazione, obbligatorio per legge nelle liti tra utenti e operatori, e' una procedura di risoluzione extragiudiziale della controversia durante la quale l’utente e l’operatore, aiutati da una parte terza (il conciliatore), tentano di risolvere in modo amichevole la controversia.
Il tentativo obbligatorio di conciliazione nel caso di controversie tra operatori e utenti e' previsto per assicurare la gestione semplificata di liti che sono generalmente di valore contenuto, per consentirne una risoluzione semplice, rapida e poco costosa.
Quali sono le ipotesi in cui il tentativo di conciliazione deve essere obbligatoriamente esperito?
Il tentativo obbligatorio deve essere esperito in molte delle possibili controversie con un operatore. In particolare, la conciliazione deve essere tentata nelle controversie che riguardano il mancato rispetto delle disposizioni relative al servizio universale e ai diritti degli utenti finali dettate dalle norme legislative, dalle delibere dell’Autorita', dalle condizioni contrattuali e dalle Carte dei servizi.
Ci sono dei casi in cui non è necessario esperire il tentativo di conciliazione?
Il tentativo di conciliazione non deve essere esperito quando la controversia riguarda il mero recupero di un credito relativo a prestazioni gia' effettuate e non contestate.
Per fare un esempio, l’operatore che abbia emesso una fattura che non sia stata pagata né contestata potrebbe rivolgersi al giudice per ottenere un decreto ingiuntivo senza dover preventivamente effettuare la conciliazione obbligatoria.
Questa regola si inserisce nel quadro dei principi del nostro ordinamento, dove i crediti certi, liquidi ed esigibili hanno una tutela piu' veloce, per agevolare lo scambio e la fiducia nei rapporti giuridici.
Tuttavia la regola non e' assoluta e vale soltanto se il credito non e' in discussione: se l’utente ha contestato la fattura, infatti, si rientra nella normale ipotesi di controversia tra utente e operatore e dunque il tentativo di conciliazione deve essere obbligatoriamente effettuato.
Sono escluse dall’ambito della conciliazione obbligatoria le liti collettive disciplinate dal Codice del consumo, vale a dire le azioni esperibili dalle associazioni di consumatori per impedire l’uso di clausole vessatorie nei contratti e per inibire comportamenti lesivi dei diritti e interessi dei consumatori e utenti ivi comprese le azioni di classe (di cui all’articolo 140-bis) per tutelare i diritti individuali omogenei degli utenti.
Non si applica, infine, la disciplina di risoluzione delle controversie utenti/operatori dettata dall’Autorita' alle controversie che riguardano esclusivamente profili fiscali e tributari.
Cosa accade se il tentativo obbligatorio di conciliazione non viene esperito?
Se il tentativo obbligatorio di conciliazione non viene preventivamente esperito, non e' possibile rivolgersi all’autorita' giurisdizionale per la tutela delle proprie ragioni nei confronti dell’operatore: il preventivo svolgimento del tentativo di conciliazione costituisce, infatti, condizione di procedibilita' del ricorso in sede giurisdizionale.
In ogni caso, decorsi trenta giorni dalla proposizione dell’istanza di conciliazione, e' comunque possibile rivolgersi all’autorita' giurisdizionale. Il procedimento per il tentativo di conciliazione si dovrebbe concludere difatti entro 30 giorni.
Si contempera cosi' l’interesse pubblicistico a prevedere strumenti – alternativi a quelli giurisdizionali – che consentano la risoluzione della controversia con modalita' rapide e poco costose, con l’interesse del singolo ad una completa tutela dei suoi diritti, consentendogli quindi, decorsi inutilmente trenta giorni dalla proposizione dell’istanza di conciliazione, di rivolgersi comunque all’autorita' giurisdizionale, come sancito dall’articolo 24 della Costituzione italiana.
Se il tentativo di conciliazione non si è concluso è possibile rivolgersi all’autorità ovvero ai corecom da essa delegati per la definizione della controversia?
Se il tentativo di conciliazione non si e' concluso – anche qualora siano gia' decorsi trenta giorni dalla presentazione della relativa istanza – non si puo' chiedere all’Autorita', ovvero ai Corecom da essa delegati di definire la controversia. Occorre attendere la conclusione della procedura di conciliazione.
Come si esperisce il tentativo obbligatorio di conciliazione?
Il tentativo di conciliazione si esperisce presentando un’apposita istanza al Co.Re.Com competente per territorio (non anche all’Autorita') oppure, in alternativa, ad altri organismi, a cio' abilitati, quali:
le camere di conciliazione istituite presso le Camere di commercio;
gli organismi di cosiddetta conciliazione paritetica, costituiti dagli operatori di comunicazioni elettroniche e dalle associazioni di consumatori, operanti presso alcune aziende del settore;
gli organismi di mediazione di cui al decreto legislativo numero 28/2010 (sempre che abbiano siglato un protocollo di intesa con l’Autorita');
L’elenco aggiornato degli organi presso cui presentare istanza di conciliazione e' disponibile sul sito web dell’Autorita'.
Come si presenta l’istanza di conciliazione?
La domanda di conciliazione puo' essere presentata in carta semplice oppure utilizzando il formulario ad hoc predisposto dalla Direzione tutela dei consumatori (Formulario UG) disponibile sul sito ufficiale dell’Autorita' nella sezione contenzioso tra utenti e operatori e presso gli uffici dei Corecom.
E’ possibile consegnare l’istanza a mano, contro rilascio di ricevuta, o inviarla a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, tramite fax o tramite posta elettronica certificata.
Cosa deve contenere l’istanza di conciliazione?
Nell’istanza di conciliazione devono essere indicati, a pena di inammissibilita':
il nome e cognome, residenza o domicilio dell’utente;
il numero dell’utenza in caso di servizi telefonici;
la denominazione e sede dell’operatore di comunicazione elettronica interessato;
i fatti che sono all’origine della controversia tra le parti;
gli eventuali tentativi gia' esperiti per la composizione della controversia;
le richieste dell’istante;
la fotocopia di un valido documento d’identita';
? la lista dei documenti che si allegano.
L’istanza deve poi essere firmata dall’utente o, per le persone giuridiche, dal rappresentante legale, ovvero da un rappresentante munito di procura speciale, conferita con atto pubblico o con scrittura privata autenticata.
L’utente deve sostenere un costo per l’attivazione e lo svolgimento della procedura conciliativa?
La procedura innanzi al Corecom e' gratuita. La conciliazione paritetica con le Associazioni puo' avere un costo che pero' non deve essere eccessivamente oneroso. Presso le Camere di commercio e gli organismi di mediazione, invece, si applica un tariffario stabilito con singoli protocolli di intesa siglati con l’Autorita'.
Come si individua il co.re.com territorialmente competente?
In caso di servizi in postazione fissa, l’istanza di conciliazione va presentata al Corecom della regione ove e' ubicata la postazione, negli altri casi nel foro del domicilio indicato dall’utente nel contratto o in quello di residenza.
Quali sono i co.re.com. delegati dall’autorità a svolgere la conciliazione in materia di controversie tra utenti e operatori
I Co.Re.Com. delegati all’esercizio della funzione conciliativa sono quelli delle regioni di seguito indicate: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Val d’Aosta, Veneto, Provincia autonoma di Trento e di Bolzano, Sicilia (gli indirizzi sono disponibili sui relativi siti web e sul sito web dell’Autorita'
www.agcom.it).
Cosa si può fare se il co.re.com. della regione territorialmente competente non ha le deleghe dell’autorità?
Nei casi in cui il Co.Re.Com territorialmente competente non abbia ricevuto le deleghe da parte dell’Autorita' (ad oggi e' il caso delle regioni Sicilia e Sardegna), l’utente puo' presentare istanza per il tentativo di conciliazione agli altri organismi abilitati sopra ricordati (come le Camere di commercio o le Commissioni paritetiche , gli organismi di mediazione di cui al decreto legislativo numero 28/2010, sempre che abbiano siglato un protocollo di intesa con l’Autorita').
Cosa accade una volta presentata l’istanza?
Ricevuta l’istanza, in via preliminare il Co.Re.Com. ne valuta l’ammissibilita' ai sensi del Regolamento. Qualora ravvisi una causa di inammissibilita', il Co.Re.Com dichiara, con atto motivato, l’improcedibilita' del tentativo di conciliazione entro dieci giorni dalla presentazione della stessa. Di tale improcedibilita' viene data apposita comunicazione all’utente.
Quali sono i casi in cui l’istanza è dichiarata inammissibile?
La domanda e' inammissibile se manca uno degli elementi sopra indicati oppure se non e' firmata.
Qual è l’iter del procedimento?
Verificata l’ammissibilita' dell’istanza, il Corecom, entro il termine di sette giorni lavorativi dal ricevimento dell’istanza, invita le parti a presentarsi per l’udienza di conciliazione, fissando il giorno, la data, l’ora e il luogo in cui dovranno presentarsi.
Nella comunicazione sono inoltre indicati i riferimenti dell’istanza, i recapiti del responsabile del procedimento, l’ufficio dove si puo' prendere visione degli atti, il termine di conclusione del procedimento e gli ulteriori rimedi esperibili.
L’operatore è obbligato a tentare la conciliazione?
La parte che non ha proposto l’istanza, entro dieci giorni dal ricevimento dell’avviso di convocazione ha l’onere di comunicare al Co.Re.Com., con le modalita' indicate nell’avviso medesimo, la propria volonta' di partecipare alla procedura conciliativa.
Decorso detto termine, in mancanza di tale comunicazione, ovvero in caso di dichiarazione esplicita di non voler partecipare all’udienza di conciliazione, il responsabile del procedimento redige un verbale con il quale da' atto dell’esito negativo del tentativo di conciliazione, trasmettendolo tempestivamente alla parte istante.
Si può rinunciare all’istanza di conciliazione?
L’istante che intenda rinunciare all’esperimento del tentativo di conciliazione ne da' comunicazione al Co.Re.Com. al piu' presto, e comunque con almeno cinque giorni di anticipo rispetto alla data fissata per l’udienza.
Come si svolge l’udienza?
L’udienza di conciliazione, in pratica, consiste in un colloquio tra l’utente e l’operatore – in presenza del responsabile del procedimento – durante il quale le parti espongono le rispettive ragioni, cercano di chiarire i punti di contrasto e di individuare una soluzione reciprocamente accettabile.
L’utente deve presentarsi all’udienza per lo svolgimento del tentativo di conciliazione con un avvocato?
No, l’utente non deve necessariamente presentarsi all’udienza con un avvocato, ma puo' intervenire personalmente.
In ogni caso, l’utente puo' invece scegliere di farsi assistere, oltre che da un avvocato, da consulenti o comunque di farsi rappresentare da un altro soggetto.
In quest’ultimo caso, e' necessario che il rappresentante abbia una procura idonea anche a conciliare o transigere la controversia, poiché altrimenti lo scopo ultimo del tentativo di conciliazione (che e' quello di far raggiungere un accordo alle parti) sarebbe vanificato.
La procura deve inoltre essere generale o speciale e conferita con atto pubblico o con scrittura privata autenticata oppure (che e' il caso piu' frequente) con una semplice scrittura privata alla quale viene allegata la fotocopia di un documento di identita' del delegante.
E’ necessario essere presenti all’udienza?
Non e' necessario che l’utente o il suo rappresentante presenzi fisicamente all’udienza, ma e' preferibile, in modo da poter esporre meglio le proprie ragioni. Previa richiesta al responsabile del procedimento, le parti possono partecipare all’udienza in videoconferenza o tramite strumenti telematici.
Nel caso l’operatore non si presenti in udienza il responsabile del procedimento redige un sintetico verbale in cui annota che il tentativo di conciliazione ha avuto esito negativo.
Se la parte istante (l’utente) non compare in udienza, il responsabile del procedimento redige un verbale di mancata comparizione e il procedimento e' archiviato.
L’utente non potra' rivolgersi all’Autorita' ovvero ai Corecom da essa delegati, per chiedere la definizione della controversia, fatta salva la possibilita' di far valer in giudizio le proprie ragioni.
Alla stessa conclusione si perviene nel caso in cui entrambe le parti non compaiano. Se le parti non possono presenziare per giustificati motivi, devono provvedere a comunicarli prontamente al responsabile del procedimento. In tal caso, viene fissata una nuova udienza.
Cosa accade nel caso in cui le parti trovino un accordo per la chiusura bonaria della controversia?
Nel caso in cui le parti, durante l’udienza di conciliazione, trovino un accordo per la chiusura bonaria della controversia, il responsabile del procedimento attesta a verbale che la controversia si e' conclusa in maniera amichevole – con un accordo – di cui si specifica il contenuto.
Cosa fare se poi l’operatore non adempie all’accordo conciliativo?
Se l’operatore, raggiunta la conciliazione, non adempie nei termini stabiliti, ci si puo' tutelare con un’esecuzione secondo le ordinarie regole perché il verbale, per legge, e' un titolo esecutivo.
Cosa accade invece nell’ipotesi in cui le parti non trovino un accordo durante l’udienza di conciliazione?
Se le parti non trovano un accordo, il responsabile del procedimento redige un sintetico verbale in cui annota che il tentativo di conciliazione ha avuto esito negativo.
In tal caso, le parti possono far indicare nel verbale l’eventuale soluzione parziale sulla quale concordano, ovvero possono chiedere di dare atto della propria proposta di composizione bonaria.
E’ possibile utilizzare le informazioni acquisite nella fase di conciliazione?
Le informazioni acquisite nella fase di conciliazione sono riservate.
La riservatezza non riguarda le informazioni sui fatti della controversia, ovviamente, bensi' le dichiarazioni e le offerte effettuate nel corso della procedura di conciliazione, che non possono essere utilizzate, in occasione di altro procedimento arbitrale o di un giudizio promosso dinanzi all’autorita' giudiziaria o a qualsiasi altra autorita' indipendente.
Questa regola, che puo' comunque essere derogata con un diverso accordo delle parti, ha lo scopo di evitare che un successivo giudice o arbitro possa convincersi su chi ha ragione e chi ha torto nella controversia, basandosi su dichiarazioni e offerte transattive che sono state fatte in una sede, come quella conciliativa, dove potrebbero essere state finalizzate soltanto a trovare un accordo, senza intendere affatto ammissione di responsabilita'.
Può l’operatore pretendere che l’offerta effettuata in sede conciliativa sia messa a verbale?
Si, ciascuna parte puo' chiedere al conciliatore di inserire nel verbale la propria offerta conciliativa.
Cosa accade se l’operatore nell’ambito della conciliazione si impegna, a verbale, a corrispondere gli indennizzi previsti dalle condizioni contrattuali ovvero dalla carta servizi e l’utente rifiuta?
Se l’operatore nell’ambito della fase conciliativa si impegna concretamente a corrispondere all’utente gli indennizzi contrattualmente previsti in relazione ai disservizi subiti e l’utente rifiuta, in sede di definizione della controversia il calcolo degli indennizzi avverra' comunque sulla base degli importi contrattualmente stabiliti, e non gia' sulla base degli importi previsti dal Regolamento indennizzi.
In caso di esito negativo della procedura di conciliazione cosa è possibile fare?
Nel caso in cui nel corso dell’udienza di conciliazione le parti non trovino un accordo per risolvere in maniera amichevole la controversia, ovvero nel caso in cui l’udienza non si svolga perché l’operatore non si presenta in udienza e quindi il tentativo abbia un esito negativo, si aprono due strade:
se non sono decorsi piu' di tre mesi dalla data di conclusione del primo tentativo di conciliazione, si puo' rimettere la decisione della controversia al Co.Re.Com. competente, sempre che sia tra quelli che abbiano ricevuto la delega in materia di definizione delle controversie, altrimenti l’istanza di definizione deve essere presentata direttamente all’Autorita';
si puo' ricorrere alla giustizia ordinaria.
Sintesi della procedura conciliativa
il Co.Re.Com. competente e' quello del luogo in cui si trova la postazione fissa ad uso dell’utente finale ovvero, negli altri casi, quello corrispondente al domicilio indicato dall’utente al momento della conclusione del contratto o, in mancanza, alla sua residenza o sede legale;
il termine per la conclusione della procedura conciliativa e' di trenta giorni decorrenti dalla data di presentazione dell’istanza; dopo la scadenza di tale termine le parti possono proporre ricorso al giudice anche se la procedura non sia stata conclusa.
l’utente, contestualmente alla proposizione dell’istanza per conciliazione (ma anche in corso di procedura) puo' chiedere al Co.Re.Com provvedimenti temporanei diretti a tutelare la continuita' del servizio elettronico acquistato o volto a far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento del servizio da parte dell’operatore;
l’istanza di conciliazione, sottoscritta dall’utente a pena di inammissibilita', deve essere accompagnata dalla fotocopia di un documento di identita' dell’interessato e deve indicare i fatti che sono all’origine della controversia tra le parti;
il Co.Re.Com, verificata l’ammissibilita' della domanda, comunica alle parti, entro sette giorni lavorativi dal ricevimento dell’istanza, l’avviso di convocazione per l’esperimento del tentativo di conciliazione, da tenersi non prima di sette giorni lavorativi dal ricevimento della predetta comunicazione;
in udienza di conciliazione, le parti possono intervenire sia personalmente, che a mezzo di rappresentante munito di apposita procura;
le dichiarazioni e le offerte effettuate nel corso della procedura di conciliazione non possono essere riportate nell’eventuale successivo giudizio. Per cui, tutto cio' che avviene in sede conciliativa e', per cosi' dire, riservato;
se la conciliazione ha esito positivo, viene redatto un verbale in cui si indicano i punti controversi e si da' atto dell’accordo, specificandone il contenuto;
se non si raggiunge l’accordo, il responsabile della conciliazione (il conciliatore) redige un verbale in cui si annota esclusivamente l’oggetto della controversia ed il suo esito negativo;
Fallito il tentativo di conciliazione, se non sono decorsi piu' di tre mesi dalla data di conclusione del primo tentativo di conciliazione, si puo' rimettere la decisione della controversia al Co.Re.Com. competente oppure si puo' ricorrere alla giustizia ordinaria.
Come trovare tariffe ed operatori più vantaggiosi per risparmiare
Siete in procinto di cambiare operatore telefonico o semplicemente il piano tariffario per il vostro nuovo, splendente, tecnologico cellulare?
A parole puo' sembrare facile ma, in realta', orientarsi tra la moltitudine di offerte Tim, Tre, Wind e cosi' via puo' essere arduo, specie nel periodo delle feste, quando gli operatori studiano nuove offerte e pacchetti.
Percio', ci sono alcune cose che tutti i consumatori devono sapere prima di inoltrarsi nel confronto delle offerte piu' vantaggiose per i cellulari e fare poi la loro scelta finale.
Innanzitutto, non fatevi scrupoli a cambiare compagnia. Gli operatori si fanno una spietata concorrenza e la situazione e' molto dinamica: ci sono sempre nuove offerte e puo' accadere che quella sottoscritta tempo fa non sia piu' realmente vantaggiosa e adatta alle proprie esigenze.
Le proprie esigenze, infatti, sono il primo aspetto da considerare nella scelta della tariffa telefonica per il proprio smartphone o tablet.
Le aziende, appunto, offrono diverse tipologie di prodotti, ognuna pensata per un determinato tipo di utente.
La prima decisione da prendere riguarda il tipo di tariffa: e' piu' convenevole un pacchetto all inclusive o una tariffa a consumo effettivo?
Tutto dipende dal proprio profilo di consumatore: se usiamo molto il cellulare, sia per effettuare chiamate che per mandare messaggi e navighiamo spesso online, sara' piu' vantaggiosa una tariffa tutto incluso. Se, invece, utilizziamo sporadicamente il telefonino, converra' sottoscrivere una tariffa a consumo: a fine mese si paghera' solo per quanto effettivamente si e' consumato.
Attenzione poi, a non farsi ingolosire da pacchetti che propongono un numero troppo elevato di chiamate e messaggi, che nella realta' non consumeremo mai effettivamente. La regola d’oro, in questo caso, e' studiare i propri bisogni e le proprie abitudini.
Si tratta di un’operazione molto semplice. E’ sufficiente monitorare per un mese quante chiamate effettuiamo, quanti messaggi inviamo e quanto navighiamo per avere un’idea di quali sono i nostri consumi e quindi scegliere di conseguenza il tipo di tariffa piu' adatta.
Quando avremmo capito con chiarezza che tipo di utenti siamo, sara' sufficiente collegarsi a un portale di comparazione online, inserire i propri dati e procedere a un confronto.
Infine, prima di sottoscrivere l’offerta di un qualunque operatore, e' buona abitudine leggere con attenzione il foglio informativo, cosi' da individuare immediatamente i cosiddetti costi nascosti: spese di attivazione, penali per il recesso anticipato del contratto e cosi' via.
Danno patrimoniale causato da disservizi per contratto internet: sussiste il risarcimento danni
L’azienda erogatrice del servizio internet e’ obbligata al risarcimento danni del consumatore che, per il disservizio, abbia ricevuto un danno patrimoniale.
La compagnia telefonica risarcisce l’imprenditore per lucro cessante, se questo e’ provato dal bilancio, causato da un disservizio sulla linea.
Questo, in breve, l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza 23154/14.
Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, non e’ importante essere clienti business per ottenere il risarcimento danni a causa dell’interruzione del servizio internet, derivante dalla colpa del gestore.
È indispensabile, invece, per accedere al ristoro economico, dimostrare di aver subito un danno, che puo' essere sia di natura economica, che di immagine.
Per un danno di tipo economico, ad esempio, il consumatore e’ tenuto a dimostrare il cosiddetto lucro cessante, ovvero la diminuzione delle chance di guadagno dal giorno dell’impossibilita’ di connettersi alla rete fino al ripristino del servizio.
Su questo punto, spiegano i giudici del Palazzaccio, per poter accogliere la domanda di risarcimento danni da lucro cessante, e’ necessaria la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilita', e non di mera potenzialita', l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.
Per quanto riguarda il danno all’immagine, invece, il consumatore deve dimostrare che, a causa del disservizio, abbia subito una sospensione dell’attivita', causando, oltre una perdita di clienti, una diminuzione della propria affidabilita' e credibilita' sul mercato.
Si tratta di una prova di certo piu’ difficile della precedente, ma che, in determinati casi, potrebbe comportare importi di risarcimento danni piu' elevati.
Infatti, se il danno economico si limita a individuare il mancato guadagno in un arco di tempo ristretto, quello all’immagine puo' coinvolgere anche un futuro indeterminato e tutte le prospettive di crescita dell’attivita' economica.
I contratti per utenze domestiche possono essere sottoscritti soltanto da assegnatario, proprietario o affittuario
I nuovi contratti di utenza domestica per pubblici servizi devono riportare, oltre ai dati identificativi del richiedente, il titolo che questi puo' vantare riguardo la proprieta' o comunque la reale detenzione dell’unita' immobiliare per la quale viene chiesta la fornitura.
Per fare cio', i richiedenti devono fornire al gestore del servizio documentazione che provi l’esistenza di tale titolo, come ad esempio:
contratto di compravendita
contratto di affitto
atto che certifichi l’acquisizione di altri diritti: come usufrutto, diritto di abitazione
autocertificazione.
Qualora il richiedente sia diverso dal proprietario o inquilino o altro avente titolo, e comunque abiti nell’unita' immobiliare per la quale viene chiesto il servizio, per attivare il contratto dell’utenza e’ considerabile valido titolo anche solo la delega scritta di chi il titolo ce l’ha.
Le nuove disposizioni, comunque, scattano sia per le nuove attivazioni che per le volture e i rinnovi.
In caso di mancato rispetto puo' scattare, se rilevata da chi ne ha interesse, la nullita' dei contratti.
La novita' e' fondamentale poiché rafforza e rende pi§ efficaci i principi di legge gia' esistenti per ottenere la nullita' da parte magari dei proprietari che si vedono attivare contratti a loro insaputa, non solo e non tanto da occupanti abusivi, ma anche da conviventi non autorizzati.
Il controllo obbligatorio preventivo da parte del gestore dovrebbe, quindi, evitare a monte le attivazioni indebite o non autorizzate. Nello stesso tempo si affilano gli strumenti in mano ai proprietari per agire di fronte ad eventuali errori od omissioni del gestore.
Obbligo di approvazione esplicita sui numeri telefonici a pagamento
Stop assoluto ai servizi telefonici a pagamento anche se relativi al periodo in cui la legge non li aveva ancora vietati.
Lo ha sancito la Corte di Cassazione la quale, con la pronuncia 19882/2013, ha stabilito che, in tema di servizi telefonici a pagamento relativi al periodo in cui la legge non li aveva ancora vietati, e' onere del giudice valutare se anche nel periodo di assenza di legislazione fosse necessaria un’approvazione esplicita o almeno una preventiva negoziazione di servizi forniti dal gestore di sua iniziativa e potenzialmente in grado di far crescere a dismisura i consumi e le conseguenti bollette.
Le compagnie di telefonia mobile non possono appropriarsi delle somme residue nelle ricariche telefoniche
Le compagnie di telefonia mobile non possono appropriarsi delle somme residue nelle ricariche telefoniche se, dopo un anno, il consumatore non ha utilizzato il proprio cellulare, con conseguente scadenza della scheda sim.
Come e' ormai noto, chi non utilizza una scheda SIM ricaricabile per piu' di un anno, perde l’attivazione del proprio numero telefonico, e, di conseguenza, anche l’eventuale traffico residuo sulla scheda.
Questa pratica adoperata dai gestori telefonici e' pero' illecita.
La legge 40/2007, denominata Decreto Bersani, infatti, stabilisce che, al fine di favorire la concorrenza e la trasparenza delle tariffe, di garantire ai consumatori finali un adeguato livello di conoscenza sugli effettivi prezzi del servizio, nonché di facilitare il confronto tra le offerte presenti sul mercato, e’ vietata, da parte degli operatori di telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche, l’applicazione di costi fissi e di contributi per la ricarica di carte prepagate, anche via bancomat o in forma telematica, aggiuntivi rispetto al costo del traffico telefonico o del servizio richiesto. E’ altresi' vietata la previsione di termini temporali massimi di utilizzo del traffico o del servizio acquistato.
Ogni eventuale clausola difforme e’ nulla e non comporta la nullita' del contratto, fatti salvi i vincoli di durata di eventuali offerte promozionali comportanti prezzi piu' favorevoli per il consumatore. Gli operatori di telefonia mobile adeguano la propria offerta commerciale alle predette disposizioni entro il termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Pertanto, col decreto appena citato, e' stata eliminata la possibilita' che il credito sul proprio telefonino possa essere sottoposto a scadenza. Cio' significa che il cliente che non utilizza gli importi ancora presenti sulla SIM per un lungo periodo di tempo, potra' sempre disporre del traffico acquistato. Da cio' si evince che una Compagnia telefonica non potrebbe, in teoria, mai sottrarre il credito dal cellulare, per nessun motivo.
Tuttavia, bisogna aggiungere che il Decreto Bersani non dice nulla in merito ai tempi di validita' di una scheda Sim. Ed ecco svelato l’arcano.
Con questa piccola lacuna legislativa, i gestori di telefonia mobile ne approfittano.
Le compagnie hanno infatti stabilito, nei contratti imposti al consumatore, che la validita' di una SIM ricaricabile sia di 12 mesi dall’ultima ricarica effettuata. Quindi, trascorsi 12 mesi dall’attivazione della scheda o dall’ultima ricarica effettuata, senza che la stessa venga utilizzata, il numero telefonico corrispondente viene disattivato e, con esso anche il credito residuo.
Cosi', il cliente non puo' opporsi alla disattivazione della SIM, ma ha il diritto di chiedere (e ottenere) il rimborso del traffico telefonico non goduto. Si perché, il consumatore potra' inviare una missiva alla Compagnia telefonica e chiedere che gli venga rimborsata la somma pari al credito residuo sul cellulare.
In piu', se l’utente ha cambiato gestore telefonico, potra' farsi accreditare il residuo credito sulla nuova scheda: una portabilita' quindi sia del numero che del credito!
Questo importante principio, e' stato sancito dal Consiglio di Stato, il quale ha stabilito che la ricarica telefonica ha quindi natura di carta prepagata perché consente di usufruire del servizio telefonico dell’operatore prescelto per l’ammontare della carta stessa (e per le sue frazioni), nei limiti del credito (pre)acquistato.
La carta puo' essere utilizzata completamente (ed allora non si pone alcun problema) o puo' essere utilizzata parzialmente. Ed in tal caso il legislatore ben puo' prevedere che la parte non utilizzata (che e' un credito dell’utente nei confronti dell’operatore) debba essere restituita all’utente, parte debole del rapporto contrattuale, con il venir meno del diritto alla controprestazione in caso di recesso. L’utente ha, infatti, versato anticipatamente del denaro per prestazioni non ancora effettuate dall’operatore telefonico e, se parte di quelle prestazioni non sono piu' richieste (anche per volonta' dell’utente), lo stesso risulta titolare di un “credito residuo” per la parte della carta che non e' stata ancora utilizzata.
E si sono gia', in precedenza, indicate le ragioni per le quali il diritto di recesso previsto dal decreto Bersani non rende possibile agli operatori telefonici di incamerare (o accantonare) tale credito ma comporta per gli stessi il dovere di riconoscere agli utenti il loro credito residuo. Anche a voler condividere la tesi della Telecom, secondo cui i contratti stipulati tra operatore di rete mobile e utente sono due: il contratto (cd. contratto di utenza) che il cliente stipula con l’operatore, per la messa a disposizione della linea telefonica, e il contratto di acquisto del traffico telefonico, non puo' pero' negarsi che i due contratti siano indissolubilmente legati, con la conseguenza che non si puo' sostenere che sciolto il primo (con il recesso) non si determinino effetti anche sul secondo, che non puo' (evidentemente) sopravvivere.
In tale quadro la mancanza di un obbligo di restituzione (o di trasferimento) del credito residuo consentirebbe all’operatore di conservare un ingiustificato vantaggio economico a fronte di una prestazione non corrisposta o solo parzialmente corrisposta. Cio' giustifica l’obbligo di restituzione (o di trasferimento) del credito residuo che si deve ritenere discenda direttamente dalle disposizioni di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 1 della legge numero 40 del 2007.
Da questa sentenza, e' facile dedurre che l’orientamento del Consiglio di Stato in tema di carte telefoniche prepagate, e' quello di riconoscere il diritto dei consumatori al rimborso del credito residuo ed anche alla sua trasferibilita' fra gli operatori in caso di portabilita' del numero.
Nasce la banca dati dei cattivi pagatori per utenze di telefonia
Come contrastare un fenomeno che con la crisi e' in forte aumento: il turismo telefonico. Utenti che cambiano operatore lasciando bollette insolute, ripetutamente, in un ciclo continuo, riferisce ad un noto quotidiano Antonello Soro, presidente dell’Autorita' per la protezione dei dati personali.
E’ necessario risolvere un problema che causa milioni di euro di perdite agli operatori, perdite che poi ricadono sulle tariffe degli utenti onesti, che pagano regolarmente; ma contestualmente riconoscere che a fare turismo telefonico non solo soltanto i furbi, ma anche i tanti che sono stati messi alle strette dalla crisi economica aggiunge Antonello Soro.
E, dunque, il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato una consultazione pubblica su uno schema di provvedimento che fissa le garanzie da rispettare per la costituenda banca dati nell’ambito dei servizi di comunicazione elettronica (il cosiddetto Sit – Sistema informatico integrato). Il Sit potrà essere consultato dagli operatori del settore per verificare l’affidabilità dei clienti, prima di procedere alla stipula di nuovi contratti.
Secondo il presidente dell’Autorita' per la protezione dei dati personali, infatti, senza questa banca dati, gli operatori non possono sapere se l’utente che ha richiesto il servizio ha lasciato bollette insolute con altri gestori. Non possono, insomma, identificare i “cattivi pagatori seriali”.
L’Autorita' ha gia' fissato le regole generali alle quali dovranno attenersi i fornitori di servizi di comunicazione elettronica (che accederanno al Sit e lo alimenteranno fornendo le informazioni sugli inadempimenti) e il futuro gestore del Sit.
Prima della costituzione della banca dati, operatori e gestore dovranno predisporre e sottoporre al Garante per la privacy l’accordo che regola i rapporti tra le parti, e in caso di esito positivo ogni operatore dovrà inoltrare all’Autorità una specifica richiesta di verifica preliminare.
In applicazione dell’istituto del bilanciamento di interessi, previsto dal Codice della privacy, l’Autorita' ha ritenuto che il trattamento dei dati contenuti nel Sit possa essere effettuato dal gestore e dai partecipanti, anche senza consenso, al solo fine di verificare le eventuali morosita' del cliente e nel rispetto delle prescrizioni impartite.
Il dato relativo al mancato pagamento sara' inserito nel Sit solo nel caso in cui, dopo tre mesi dalla cessazione del contratto, sussista una morosita' superiore a 100 euro e solo dopo che l’operatore abbia avvertito il cliente dell’imminente iscrizione, ove non regolarizzi il pagamento.
Nel Sit, che dovra' essere separato, logisticamente e fisicamente da altre banche dati del gestore e protetto da elevate misure di sicurezza, potranno essere trattate solo informazioni di carattere negativo connesse ad eventuali inadempimenti del cliente verso gli operatori, con esclusione di altre finalita' (ricerche di mercato, pubblicita', marketing). Nel Sit, inoltre, non potranno essere trattati dati sensibili o giudiziari e non potranno essere utilizzate tecniche o sistemi automatizzati di credit scoring.
Al momento della stipula del contratto il cliente dovra' essere informato, in modo chiaro e preciso, anche del trattamento dei propri dati (anagrafici, codice fiscale o partita iva, importo dovuto per singolo operatore telefonico) effettuato nell’ambito del Sit. Le regolarizzazioni dei tardivi pagamenti dovranno essere comunicate dall’operatore telefonico al Sit entro 24 ore dall’avvenuta conoscenza, e il Sit dovra' cancellare gli inadempimenti al primo aggiornamento settimanale. Le morosita' non sanate, trascorsi 36 mesi dalla risoluzione del contratto, saranno cancellate automaticamente.
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