Intervista Al Mago

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Grifone HHH 86
00mercoledì 11 novembre 2009 13:16

Fabrice Santoro, come ti senti dopo l’ultima partita della tua carriera?
E’ una bella sconfitta, con un match di qualità contro un buon giocatore come Blake, con una bella atmosfera e molta gente al Palais Omnisport de Bercy. Era importante giocare un incontro di alto livello. E’ una pagina lunga che finisce come se tutto fosse già stato previsto prima, sono trenta anni di vita, trenta anni dedicati al tennis. Sono stati anche trent’anni passati in modo incredibilmente veloce. Quando una cosa viene fatta con passione, non si fa caso alle ore passate ad allenarsi, a viaggiare, a battersi in campo. Si fa tutto in modo naturale. Anche oggi, ho dato il massimo come sempre.

Sei triste di lasciare la scena?
Non c’è tristezza, è una forma di sollievo. Da qualche mese avevo più difficoltà ad allenarmi e a rifiutare i miei limiti. Quando arrivo la mattina in palestra è più difficile lavorare rispetto a come avevo fatto centinaia o migliaia di volte. Sono arrivato in fondo alla mia “battaglia”. Ne ho abbastanza di rifiutare i miei limiti per rimanere competitivo. Oggi sono felice che tutto questo sia finito e che possa iniziare una vita nuova, una vita normale.

Una vita normale è anche a volte una vita banale. Non hai paura che ti manchi l’adrenalina?
Non ho paura ma penso che mi mancherà. Tutti gli aspetti del mio mestiere mi mancheranno: l’adrenalina, il contatto con la stampa, il pubblico e l’insicurezza di questo mestiere. Ogni settimana ci si rimette in gioco. Ogni settimana esce una classifica dell’ATP. A volte si è al massimo della gioia e altre volte invece si hanno le lacrime agli occhi. C’è un permanente rimettersi in questione. Si prendono regolarmente delle batoste perché siamo portati a perdere. Ogni volta che ci si iscrive in un torneo si perde, salvo qualche eccezione. Ho giocato in media 25 tornei l’anno da 21 anni, per un totale di 525 tornei. E ho perso 519 volte, è tanto! (sorride). Ci si deve sempre rimettere in gioco, provare a migliorare e ad andare avanti, ma questa insicurezza è intensa da vivere. Non ci si può fermare, riposarsi e attendere che le cose passino.

Si parla spesso di una “piccola morte” per la fine di una carriera sportiva. Che ne pensi?
Si, è un lutto, anche se sono io stesso che ho deciso di affrontarlo. Molti non hanno avuto questa possibilità, perché hanno dovuto smettere a causa del loro scarso livello di gioco o per degli infortuni. E’ quindi una cosa molto dolorosa, ma è anche un sollievo sapere che da questo momento in poi avrò una vita più vicina allo standard. Nello sport praticato ad alto livello ci sono dei limiti fisici che non si possono superare, anche se avrei potuto continuare a fare il tennista per un altro anno. I dolori sono più frequenti che in passato, bisogna rispettare il proprio corpo. Lascio al 50esimo posto, in buona salute dopo 21 anni di carriera, ai miei occhi è la fine ideale.

Hai già pensato a cosa farai adesso?
Mi piacerebbe occuparmi di altri aspetti legati al mondo del tennis. Ho cominciato a mettere un piede nei mass media e un altro negli eventi con l’Open di Metz. Ho ricevuto molte proposte dalla fine dell’estate ma non ho ancora preso una decisione. Potrei lavorare per un canale televisivo, ma non è ancora una cosa definitiva. Avrei forse bisogno di un’attività al di fuori del mondo del tennis, ma non sono ancora sicuro sul da farsi. Da qui a Natale saprò meglio quali saranno i miei piani per il 2010. Sono sempre stato molto attivo con molti progetti in cantiere. Da qualche anno non ho altro che il tennis nella mia vita. Ho fatto altre cose che mi hanno permesso di prolungare la mia carriera. Se avessi avuto da sempre solo il tennis avrei certamente smesso molto prima, perché mi sarei stancato più facilmente.

Avresti voglia di trasmettere la tua esperienza facendo l’allenatore?
Ho molta voglia di trasmettere la mia esperienza perché sarei curioso di rimettermi nei panni di un giocatore di 18-20 anni. Se questi giocatori sono disorientanti come lo ero io a quell’età, forse hanno davvero bisogno del mio aiuto. All’epoca non conoscevo niente del mestiere. Non si è capaci di giocare al proprio massimo quando non si sa come utilizzare al meglio i propri mezzi. Mi piacerebbe aiutare questi giovani, passare del tempo con loro, ma ne ho fin sopra i capelli di viaggiare. Non è nelle mie intenzioni vagare per il mondo e passare ancora decine di notti negli hotel nel 2010 per allenare un giovane tennista. Occasionalmente, se qualcuno me lo chiedesse, potrei rispondere presente. Ce ne sono alcuni cui mi piacerebbe dare una mano. Ma non prendo in considerazione l’eventualità di essere un coach per il 2010 o il 2011. Forse un giorno me ne verrà una voglia matta, ma non certo nell’immediato futuro

ubitennis
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