[ASIA] Africa, la nuova colonizzazione è 'made in China'

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Arvedui
00mercoledì 30 aprile 2008 21:19
Africa, la nuova colonizzazione è 'made in China'


La recente notizia dell'approdo in Sud Africa di un cargo proveniente dalla Cina carico di armi e munizioni destinate al governo dello Zimbabwe ha riportato in primo piano il ruolo di Pechino nelle vicende africane. Lo Zimbabwe attende ormai da oltre un mese l'esito delle elezioni presidenziali e questo può soltanto significare che il presidente in carica dal 1980, Robert Mugabe, non è stato eletto al primo turno o addirittura che è stato il suo avversario, Morgan Tvangirai, a ottenere più del 50% delle preferenze. Le armi cinesi servivano al regime per reprimere le proteste dell'opposizione e soffocare un'eventuale rivolta popolare.

Non è un segreto né una novità che la Cina sostenga i dittatori africani sia rifornendoli di armi sia intervenendo in loro favore sul piano diplomatico, soprattutto in ambito ONU dove più volte ha esercitato il proprio potere in sede di Consiglio di Sicurezza per impedire il voto di risoluzioni di condanna e sanzione del loro operato. Più in generale, negli ultimi anni la Cina ha stretto rapporti con gran parte dei governi africani avviando in breve tempo una vera e propria colonizzazione del continente.

Il primo strumento di penetrazione finora utilizzato è quello dei prestiti. I massimi organismi internazionali e i governi occidentali avevano appena incominciato, finalmente, a pretendere dai governi africani, in cambio di finanziamenti e aiuti allo sviluppo, garanzie di risanamento economico, rispetto di precisi parametri finanziari, buon governo e tutela dei diritti umani, ed ecco che la Cina si è apertamente dichiarata disposta a concedere prestiti senza porre condizioni. Naturalmente gli africani hanno accolto con entusiasmo le nuove opportunità ammantandosi della virtuosa causa della tutela della loro dignità. L'Occidente "pensa di poterti dire come condurre i tuoi affari solo perché ti aiuta, queste condizioni sono magari ben intenzionate, ma umilianti": così si esprimeva mesi or sono il portavoce del governo ugandese. Pochi giorni dopo il Ministro dell'informazione dello Zimbabwe, Sikhanyisio Ndolovu, definiva "un crimine contro i diritti dell'uomo" le sanzioni adottate dall'Unione Europea contro il suo paese: "Se Bruxelles non eliminerà le sanzioni - aveva minacciato - dovrà affrontare la realtà. Le imprese europee saranno sostituite da quelle di paesi dell'est come Cina, Giappone e Indonesia".

In secondo luogo la Cina si incarica di fornire infrastrutture, attività produttive e servizi in cambio di petrolio e altre materie prime. In questo caso sono gli africani a non porre condizioni: né sul fatto che siano delle imprese cinesi a provvedere alla loro realizzazione né sulla qualità dei materiali usati, a quanto pare spesso a dir poco scandenti, e neppure sul personale impiegato e sulle condizioni di lavoro e salariali. Questo permette alla Cina di utilizzare la propria manodopera e in certi casi di includervi decine di migliaia di prigionieri impiegati senza retribuzione il che abbassa i costi di produzione. Gli accordi stipulati con alcuni governi prevedono inoltre che i dipendenti cinesi, inclusi i detenuti, diventino cittadini africani alla conclusione dei lavori e non vengano quindi rimpatriati. In Zambia, ad esempio, un paese che conta meno di 12 milioni di abitanti, pare che abitino già circa 600.000 immigrati cinesi.

La terza via di penetrazione è data dagli scambi commerciali grazie ai
quali, sempre ricavandone materie prime preziose, da tempo la Cina sta
letteralmente inondando l'Africa di prodotti, per lo più di bassa qualità. L'evento che ha consacrato i rapporti di amicizia e collaborazione tra Cina e Africa è stato il vertice di Pechino del 2006 al quale hanno partecipato i presidenti e i capi di governo di 48 dei 53 membri dell'Unione Africana. Il summit è stato preceduto e seguito da una serie di visite ufficiali compiute dal presidente cinese Hu Jintao in diversi stati africani. Tra questi vi era il Sudan che vende a Pechino il 60% della propria produzione petrolifera. Uno dei progetti cinesi in corso di realizzazione nel paese è il complesso idroelettrico di Merowe il cui costo da solo ammonta a 1,8 miliardi di dollari.

In sostanza, mentre il G8 ne condona i debiti per concedere all'Africa un'altra
opportunità di sviluppo, i governi africani si indebitano di nuovo. In più, firmano contratti di lavoro che penalizzano la manodopera autoctona e accordi commerciali che danneggiano i produttori locali. È quindi singolare la quasi totale assenza di reazioni da parte delle associazioni e dei movimenti che da decenni accusano Europa e Stati Uniti di neo colonialismo e imperialismo per essersi comportati esattamente come ora sta facendo la Cina. In realtà, però, questo non stupisce: negli ambienti terzomondisti no global, solo del mondo libero e dei liberi mercati si deve dire tutto il male possibile, a costo di inventare. Difatti anche i rapporti tra Africa e India, appena rinsaldati dal vertice svoltosi l'8 e il 9 aprile a New Delhi, vengono definiti di collaborazione e nessuno si permette di dubitare degli effetti che avranno sulla vita dei popoli africani e delle buone intenzioni di chi li gestisce. Nessuno per il momento ha avanzato dubbi neanche sulle intenzioni dell'altra potenza finanziaria che si affaccia sul continente africano: i paesi arabi che, non certo carenti di risorse energetiche, cercano con i loro petrodollari di assicurarsi nuovi mercati e investimenti.
Granduca di Milano
00giovedì 1 maggio 2008 08:52
D'altronde la Cina deve andare ovunque vi siano materie prime, anche le potenze europee una volta agivano allo stesso modo.
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